Recentemente il Centro Italiano Femminile di Carpi ha pubblicato un’indagine sul vissuto dei giovani a Carpi in questo tempo di pandemia, che ha comportato restrizioni, impossibilità di frequentare la scuola, di incontrare coetanei. E’ stata rivolta a un gruppo ristretto di ragazze e ragazzi che frequentano prevalentemente le scuole superiori, alcuni l’università. Attraverso un breve questionario sono state raccolte testimonianze dirette sul loro vissuto, sulle lezioni in didattica a distanza, sulla loro capacità di adattamento. Dalle loro riflessioni emergono tanti sentimenti: angoscia, solitudine, ma anche capacità di adattamento, occasione per valutare le proprie attitudini, il rapporto con la famiglia, il desiderio, ma anche il timore di tornare alla normalità. Sono stati originali nel ricorso alle similitudini: “mi sembra di vivere in una bolla”, “il buio dell’inverno”, “è come se fossi costretta a schiacciare il tasto reset”, “questo tempo di blocco è come un orto in cui coltivare qualcosa, oppure scegliere di restare tra le erbacce”. I sentimenti prevalenti espressi con incubo, rassegnazione, paura, noia, ansia, solitudine, vista anche in positivo come possibilità di riflettere su se stessi. Essendo stato diffuso nella seconda fase del lockdown, c’è la consapevolezza della gravità della situazione: “Marzo e Aprile (2020) erano comunque intrisi di speranza ottimismo, mentre gli ultimi mesi sono stati percepiti come il continuo di una situazione senza fine”. Anche rispetto ai social manifestano una certa maturità, li considerano una risorsa, ma ne valutano anche i rischi.
Ora che la situazione è cambiata, che le ragazze e i ragazzi sono tornati a scuola, cosa spetta agli adulti, alle famiglie, alla stessa scuola e alle istituzioni? Tutti sostengono che la questione educativa è centrale, riguarda tutti noi: come affrontarla, come rimetterla al centro, rispetto a discussioni di potere, di ricerca del consenso? Sarebbe importante favorire la rielaborazione di un vissuto così inedito e problematico dei nostri ragazzi, dinanzi al quale anche noi adulti riscontriamo difficoltà. Spetta comunque alle famiglie, alla scuola pensare a strategie e progetti mirati a comprendere e superare difficoltà già segnalate di tanti giovani, far ritrovare equilibri e motivazioni. La progressiva privatizzazione dei comportamenti familiari, ancor prima della pandemia, più interessata agli esiti scolastici che al perseguimento di obiettivi condivisi, favorirà la collaborazione con la scuola? La stessa scuola, in questa difficile fase, non rischia di prestare prevalente attenzione ai programmi, alle valutazioni, rispetto ad una rinnovata acquisizione di capacità di giudizio e di scelte responsabili verso se stessi e gli altri?
La proposta del ministro dell’istruzione di tenere aperte le scuole in estate può favorire il superamento delle difficoltà del post pandemia, creare luoghi alternativi di aggregazione e contemporaneamente aiutare quei ragazzi che hanno conseguito la promozione, nonostante incertezze che non si sono potute verificare?
Nella prospettiva dell’ormai imminente stagione estiva le varie istituzioni stanno elaborando programmi di cui possono beneficiare i giovani, nella fascia medie-superiori? In questi giorni le scuole si sono attrezzate, anche con i doppi turni, ma chi esce alle 15 ed abita in frazioni o paesi lontani non ha mezzi di trasporto e a settembre li avrà? E la Carpi-Estate prevede ambiti di svago per questi giovani, spazi dedicati? Interessante a questo proposito la proposta della Fondazione Casa del Volontariato di Carpi che apre una riflessione collettiva sul significato del termine felicità applicato non soltanto ai singoli individui ma alle collettività, ribadendo il principio che “ nessuno si salva da solo”.
Gabriella Contini