In questa nostra società nella quale si confonde facilmente la giustizia con la vendetta e si è addirittura disposti a eliminare il nemico prima ancora che attacchi (nella così detta guerra preventiva); e in una chiesa abbastanza divisa nella quale i valori che costituiscono la propria identità sono usati come spade contro chi la pensa diversamente, può essere utile parlare del valore del perdono.
Il perdono è il dono più grande che si possa fare al proprio fratello. E’ un hiper-dono. E’ tale perché è qualcosa che non rimane esterno alla persona cui è dato, ma integra il suo essere ristabilendo in lui quello che aveva perso, ossia la serenità, la pace, la capacità di esprimersi nuovamente come persona nel suo rapporto con se stesso, con l’altro e con Dio.
Il perdono ristabilisce la giustizia. La giustizia non è l’equità nella distribuzione dei mali (io faccio a te il male che hai fatto a me); ma è l’ordine stabilito dall’intelligenza e dall’amore del Creatore e richiesto dalla natura di ogni cosa, soprattutto dal fine al quale l’uomo aspira.
Il perdono non elimina solo l’ingiustizia, ma anche la causa che l’ha provocata: la cattiveria che si era annidata nel cuore di chi l’ha commessa. Il perdono risana il cuore e ridona la capacità di amare.
Il perdono esige reciprocità. Il perdono è pieno e reale quando c’è reciprocità. Non nel senso che l’offeso perdona solo quando ne ha una soddisfazione. Ma nel senso che il perdono offerto è accolto e diventa efficace nella persona che ha commesso l’ingiustizia, ristabilendo in essa l’integrità anteriore all’offesa.
L’esempio perfetto di questo perdono efficace è il perdono di Dio nei confronti del peccatore. Solo l’esperienza del perdono offertoci da Dio ci permette di avere la forza di perdonare in modo vero.
Il perdono esige che l’offeso faccia il primo passo. Il perdono suppone due protagonisti: chi offende e la persona offesa. L’iniziativa del perdono spetta alla persona offesa. In questa iniziativa, deve fare sì che chi lo ha offeso non si senta umiliato, ma senta il bene, la gioia, di essere liberato, attraverso il perdono offertogli, dal male che ha compiuto e di cui ha preso coscienza.
Il perdono è, forse, la cosa più difficile. E’ per questo che Gesù, nella preghiera che ci insegnò, ci suggerisce che può essere solo un dono del Padre nostro che sta nei Cieli. Lo stesso Gesù ce ne dà l’esempio mentre offre la sua vita sulla croce. La parabola del Padre che accoglie il figlio prodigo rimane per ogni uomo un insegnamento insuperabile.
Giovanni Paolo II, in un messaggio per la giornata della pace, scrive: “Il perdono s’ispira alla logica dell’amore, quell’amore che Dio riserva a ciascun uomo e donna, a ciascun popolo e nazione, come all’intera famiglia umana. Ma se la Chiesa osa proclamare quella che, umanamente parlando, potrebbe sembrare una follia, è proprio a motivo della sua incrollabile fiducia nell’amore infinito di Dio. Come attesta la Scrittura, Dio è ricco di misericordia e non cessa di perdonare quanti ritornano a Lui (cfr Ez 18, 23; Sal 32[31], 5; 103, 3.8-14; Ef 2, 4-5; 2 Cor 1, 3). Il perdono di Dio diventa nei nostri cuori sorgente inesauribile di perdono anche nei rapporti fra noi, aiutandoci a viverli all’insegna di una vera fraternità”.
Papa Francesco, a Bogota il 9 settembre 2017, di fronte al crocifisso di Bojya, mutilato dai guerriglieri, ha detto: “Cristo, così mutilato e ferito, ci interpella. Non ha più braccia e il suo corpo non c’è più, ma conserva il suo volto e con esso ci guarda e ci ama. Cristo spezzato e amputato, per noi è ancora “più Cristo”, perché ci mostra ancora una volta che è venuto a soffrire per il suo popolo e con il suo popolo; e anche ad insegnarci che l’odio non ha l’ultima parola, che l’amore è più forte della morte e della violenza. Ci insegna a trasformare il dolore in fonte di vita e risurrezione, affinché insieme a Lui e con Lui impariamo la forza del perdono, la grandezza dell’amore.
Il perdono è difficile, ma è anche ciò che più ci rende simili a Dio. Il perdono in qualche modo ha una dimensione creativa: ricostruisce e fa risplendere la realtà vera della persona offesa. Non raggiunge pienamente questo scopo solo quando – come nel caso di Dio – la libertà dell’altro vi si oppone.
Tommaso Cavazzuti