Una lunga storia al capolinea

Una lunga storia al capolinea

Dal medioevo al terzo millenio

Hanno ragione da vendere il direttore di Notizie e il Vicario Generale quando insistono su un  concetto: l’importanza di una diocesi non si misura tanto su dati territoriali o storico-amministrativi, quanto sul “tasso di vita evangelica che si vive, ossia la fede, la speranza e la carità, che portano alla santità.” E si citano giustamente, per Carpi, esempi come San Bernardino Realino, Mamma Nina, Odoardo Focherini; ed il martire don Venturelli, oso aggiungere io, che, come loro, ha testimoniato il valore di una vita vissuta e spesa nella sequela di Cristo con virtù eroica, ancorché finora non formalmente riconosciuta.

Riflettendo quindi sull’iter di fusione delle nostre due diocesi, da tre anni unite in persona episcopi, sarebbe fuorviante commisurare il peso di ciascuna di esse solamente in base alla dimensione territoriale, al numero di abitanti, presbiteri, diaconi e parrocchie; o all’attuale status giuridico-canonico e alla loro ascendenza storica.

Tuttavia sarebbe ipocrita ignorare del tutto come esse siano giunte nel tempo ad essere quello che sono oggi, alla vigilia di un matrimonio che si sta per celebrare, si spera in piena avvertenza, anche se non proprio con preventivo deliberato consenso delle contraenti, ma per decisione presa in alto loco.

Proviamo dunque, in quanto carpigiano-mirandolesi, a ricapitolare sommariamente le tre fondamentali tappe di formazione e crescita della nostra diocesi; una storia antica e ricca di significato, che forse la maggioranza dei diocesani riduce, più o meno confusamente, al mitico falcone del longobardo re Astolfo, all’intraprendenza urbanistica del principe Alberto Pio, alla fama universale di Pico della Mirandola, o più prosaicamente alle recenti rispettive eccellenze dei distretti tessile e biomedicale. Ci aiuta in questa ricostruzione in pillole la ponderosa Storia della Chiesa di Carpi, edita in due tomi una ventina d’anni fa dalla locale Fondazione Cassa di Risparmio.

L’origine risale a tempi in cui l’autonomia ecclesiastica di un certo territorio  veniva dai papi decretata non  tanto  in base al fervore religioso o alle esigenze pastorali della popolazione residente, bensì su logiche giuridico-istituzionali, con annessi benefici economici, per rafforzare o limitare il prestigio/potere di un vescovo o di un monastero; il tutto nel quadro di quella lotta per le investiture, che vide protagonisti papato e impero, con l’influenza dei feudatari locali fra cui  l’abile Matilde di Canossa.

Anche se è generalmente condivisa l’edificazione, già in epoca longobarda (sec. VIII) nel nostro territorio, sotto giurisdizione del vescovo di Reggio, di una chiesa di campagna con annesso battistero, chiamata Pieve Santa Maria, detta poi “la Sagra”, proprio all’apice del potere di quella nobildonna, assai legata alla Sede romana, risalgono i primi documenti che contengono riferimenti espliciti all’AUTONOMIA della nostra Chiesa locale. Leggiamo nell’opera citata: “Nel 1099 papa Pasquale II aveva inviato una lettera alla contessa Matilde, nella quale chiedeva di comandare all’abate di Frassinoro di non molestare l’arciprete di Carpi rispetto a determinati censi.” Ma per bolla del medesimo papa, “è solo dall’anno 1112 che il distretto ecclesiastico di Carpi diviene ufficialmente prelatura nullius (cioè non soggetta ad altra autorità religiosa locale) , dipendente direttamente dalla Santa Sede sotto la guida di un arciprete.”  In tal modo la Pieve di Carpi poteva “disporre delle decime senza dividerle con altri, ricevere il crisma da un vescovo di sua scelta, controllare le cappelle della sua giurisdizione, amministrandovi i sacramenti”. (p.4) La zona di competenza all’inizio era modesta, comprendendo, oltre al borgo di Carpi, soltanto le cappelle di  San Lorenzo a Gargallo (e nel 1450 di S. Croce), San Biagio di San Marino e le aree suburbane di Quartirolo e  Cibeno. 

Successivamente, consolidatasi la signoria dei Pio, si aggiungono nel XVI secolo altre entità religiose limitrofe a ovest del corso del Secchia( Migliarina, Fossoli, Novi, Rovereto, Cortile e più tardi Budrione), sottratte alla giurisdizione delle diocesi confinanti e dell’Abbazia di Nonantola. Mentre nel capoluogo andavano sorgendo importanti chiese e  diversi monasteri, nelle campagne si erigevano o restauravano le chiese parrocchiali. Ad opera delle numerose Confraternite di ispirazione religiosa venivano fondati o gestiti enti di notevole valenza sociale, come strutture educative e di accoglienza per persone in difficoltà fra cui, il Desco Dei Poveri, il Monte di Pietà e, sotto il ducato estense, nel 1585 l’Ospedale degli Infermi. Eloquenti testimonianze vive di una crescita spirituale e caritativa della Chiesa carpigiana.

Finalmente nel 1779, su impulso del duca di Modena, desideroso di accrescere il prestigio del suo dominio, la Santa Sede formalizzò l’istituzione della DIOCESI di Carpi, per cui l’ ultimo Arciprete della prelatura nullius divenne il primo nostro Vescovo. Solo però nel corso dell’Ottocento la sua giurisdizione si estese ai comuni oltre-Secchia (Concordia, Mirandola e San Possidonio nel 1821) e a  Rolo (1872), prima appartenenti alla diocesi di Reggio. Fu completata così l’attuale configurazione.

 Si trattò dunque, per l’AUTONOMIA della Chiesa di Carpi, di un cammino di graduale espansione territoriale lungo sette secoli, nei quali poté svilupparsi, fino a gran parte del Novecento, una vivace testimonianza cristiana, in dialettica e feconda relazione con lo sviluppo economico, sociale ed amministrativo della comunità locale. Sugli evidenti segni di  una crisi religiosa degli ultimi decenni, comune del resto a tutto l’Occidente euro-nordamericano, è inutile qui ritornare.

Si sostiene ora che, in base alla recente disposizione vaticana, la realtà ecclesiastico-istituzionale carpigiano-mirandolese, come quella di Modena-Nonantola, per certi aspetti indubbiamente più antica e prestigiosa ma dagli analoghi problemi pastorali, cesserà di esistere, con la nascita di una  terza diocesi. Sul piano strettamente formale, è  del tutto vero.  Un po’ meno sul piano sostanziale. Le due storie e le loro peculiari esperienze di fede, di carità e di vitalità associativa incideranno inevitabilmente sul nuovo che si andrà costruendo.

Ai gestori della complessa transizione, che si auspica per evidenti ragioni non troppo lunga, il  delicato compito di tenerne conto, con saggezza.

Pier Giuseppe Levoni