Il coronavirus ci sta impartendo molte lezioni. Qualcuno ne ha fatto l’elenco. Io ne vorrei indicare una, che mi sembra la più importante e che non è inserita in quell’elenco. Potrei enunciarla così: per tutti deve valere il principio secondo cui il bene degli altri è anche un bene per me.
All’inizio del contagio, si pensava fosse sufficiente proteggersi; più tardi ci si è accorti che il mezzo migliore per proteggersi era non contagiare gli altri. Prima dell’epidemia si chiedeva allo Stato di spendere meno per la salute; adesso si fanno le lodi del vecchio sistema sanitario italiano. Le migliaia di senzatetto che prima erano visti di traverso, adesso ricevono strutture per passarvi la notte e altri aiuti. Anche i miliardari si “commuovono” e pensano che donare qualche milione per soccorrere i “disgraziati” possa essere un buon investimento. Sono appena alcuni esempi che comprovano quello che ho detto all’inizio
Tutti questi cambiamenti mettono in luce quello che la dottrina sociale della Chiesa ha sempre indicato come il fine ultimo di tutta l’azione politica – il bene comune. Per la Chiesa “è l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono, sia alle collettività sia ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente”. “Il bene comune non consiste nella semplice somma (più o meno mal distribuita) dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale. Essendo di tutti e di ciascuno, è e rimane comune. Perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo” (Pontificio Consiglio della giustizia e della pace: Compendio della dottrina sociale della chiesa, n. 165).
Di fronte all’egoismo umano, che può raggiungere forme di pazzia capaci di mettere a rischio la stessa sopravvivenza umana, dobbiamo riconoscere con Don Zeno che “l’uomo è diverso”. “Ognuno di noi rispetta la vera natura dell’uomo quando “non facciamo agli altri quello che non avremmo piacere fosse fatto a noi, e facciamo agli altri quello che avremmo piacere fosse fatto a noi; serenamente, disinteressatamente, sapientemente.” Don Zeno lo diceva nel 1956, in un piccolo libretto, che in quegli anni fu quasi condannato. (Cf. Don Zeno, L’uomo è diverso, STAIA, Grosseto).
L’uomo vero è quello che Gesù ci indica nelle Beatitudini, delle quali papa Francesco proprio in questi giorni ci insegna il significato. Le Beatitudini non sono esagerazioni o paradossi, ma mettono in luce la vera natura dell’uomo. L’uomo è beato, felice, ossia veramente realizzato, quando, per affermarsi ed essere sé stesso, cerca non l’avere, ossia il possesso di beni (beati i poveri in spirito); non il piacere o la soddisfazione per se stessi, sempre e ad ogni costo (beati gli afflitti); non la forza e il potere (beati i miti); ma l’amore verso tutti, rispettando i diritti di ciascuno (beati quelli che hanno fame e sete di giustizia), offrendo il perdono per il male che ci fanno (beati i misericordiosi), con intenzione pura (beati i puri di cuore), promovendo una vera convivenza tra fratelli (beati gli operatori di pace), non per averne ricompense, ma anche a costo di persecuzioni.
Saremo capaci di assimilare questa lezione che il coronavirus ci insegna? Oppure, passata l’emergenza, l’ideologia liberista uscirà dal breve letargo e tornerà a comandare? Qualcuno ha detto che le vere trasformazioni non avvengono nei momenti di crisi, ma quando c’è un clima di serenità. Speriamo che quando tornerà il sereno le persone, uscendo dalle proprie case, non si lascino nuovamente abbacinare dal falso bagliore delle cose che non servono.
Tommaso Cavazzuti