Parole da trovare per dire Nicea oggi
Ho partecipato, in Sala Duomo, alle tre serate organizzate dal Laboratorio Teologico “Realino” in occasione dei 1700 anni tondi dalla celebrazione del Concilio di Nicea (325 d.C.), da cui fu elaborato sostanzialmente quel CREDO, che recitiamo ogni domenica: sintesi della fede che professano cattolici, protestanti e ortodossi.
Il modulo prevedeva anzitutto l’illustrazione del contesto politico/religioso in cui maturò l’indizione dell’evento, e le deliberazioni assunte dai vescovi partecipanti, attraverso una chiara ed esauriente esposizione del nostro don Carlo Truzzi, esperto patrologo. A seguire, due incontri in stile laboratoriale guidati dagli organizzatori, cui va riconosciuto l’impegno profuso nel fornire ai presenti stimolanti schede per la discussione, nonché diverse installazioni tese a focalizzare concretamente le problematiche affrontate. Un impegno, va detto subito, purtroppo non ripagato dall’esiguità del numero dei volonterosi intervenuti in presenza e da remoto.
La mia adesione era stata provocata dalla titolazione, in locandina, delle predette serate di confronto: “Dai problemi posti a Nicea alle domande sul nostro oggi ecclesiale”, ma soprattutto “Trovare le parole per ridire la fede di Nicea in modo ecclesiale, autentico e personale”.
Quest’ultima tematica mi appariva particolarmente intrigante, in un tempo in cui le ricerche dei sociologi/sondaggisti rivelano, fra quanti si professano “credenti ma non religiosi” e fra gli stessi “praticanti”, una notevole confusione di idee, con la difficoltà esplicita a riconoscersi nelle formule dogmatiche del Credo Niceno-Costantinopolitano, che pure continuano a recitare.
I materiali forniti per l’approfondimento e il dialogo fra i partecipanti contenevano interessanti citazioni di testi relativi a questioni di fondo: l’interpretazione complessa e mai definitiva delle Scritture, la coscienza personale come istanza prioritaria del credere e del vivere, la fallibilità del Magistero ieri e possibilmente in futuro nelle sue dichiarazioni autentiche, la distinzione fra la “realtà” cui si rivolge l’atto di fede e la sua “enunciazione” pro tempore, l’infallibilità “in credendo” del Popolo santo di Dio in virtù dell’unzione battesimale.
Argomenti assai complessi dunque su cui, a mio avviso, la riflessione deve esercitarsi rigorosamente, senza dilettantismi o infatuazioni per questo o quel teologo, senza indebite selezioni dei passi della Scrittura, senza cedere a suggestioni indotte da formule verbali seducenti, ma sostanzialmente improduttive quando non controproducenti sul piano pastorale.
In questo nostro tempo infatti di la comunità ecclesiale vive una drammatica frattura: da un lato il diffondersi di proposte, a livello di biblisti e teologi, che mettono radicalmente in questione tesi tradizionali dell’insegnamento della Chiesa, nel tentativo complicato di reinterpretare il messaggio cristiano, per renderlo accettabile alla cultura e alla sensibilità soggettiva odierna; dall’altro l’esperienza quotidiana di fede della gran parte dei credenti continua (provvidenzialmente?) sui registri di sempre, confermati per altro dal rilievo posto dai vertici a prassi secolari, quali il suffragio delle anime dei defunti, la devozione mariana, ecc. In mezzo al guado scontano perciò una condizione di disagio, perplessità e incertezza non pochi presbiteri, religiosi/e, catechisti ed educatori. Appare quindi ingenuo, dato il contesto, stupirsi sia del calo verticale delle “vocazioni” al ministero pastorale, istituito o meno, che della pratica religiosa dei fedeli.
Si può andare avanti a lungo in una condizione di gregge smarrito, di chiesa che brucia, di crisi, benedetta o meno che sia, come e è stato sottolineato? Dire NICEA oggi era un proposito troppo complesso e ambizioso per il nostro laboratorio teologico, ma lo scambio di idee pur fra pochi non è stato inutile. E lo studio dialogato, sulle specifiche tematiche poste da quel Concilio e sulle domande affiorate nei tre incontri, deve diventare opportunità permanente per una platea più vasta.
Pier Giuseppe Levoni