Un patrimonio ingombrante

Un patrimonio ingombrante

Gestire al futuro

La notizia che i vertici diocesani si sono riuniti per individuare le scelte da compiere nel prossimo futuro, in materia di gestione del patrimonio immobiliare (chiese, canoniche, ecc.), ha stimolato la riflessione pubblica sul problema, con relativi commenti di stampa.

Il Direttore di VOCE, rilevando che anche la Chiesa locale soffre del paradosso di possedere tante strutture, spesso soggette a forti vincoli, a fronte di una scarsa “liquidità”, ha concluso: “Un tempo, a muovere pedine su una scacchiera molto complessa, ci hanno pensato personalità come don Vincenzo Benatti e don Ivo Silingardi. Possibile che si sia persa del tutto la tradizione carpigiana dei preti imprenditori?”

Immediata la replica del Direttore di Notizie: non c’è bisogno di “evocare protagonisti del secolo scorso che prima di tutto erano preti, animati dal desiderio di rispondere ai bisogni dei giovani del loro tempo offrendo intuizione, cultura, formazione al lavoro e luoghi ricreativi.” E aggiunge che, nella riunione sopra ricordata, seguendo le indicazioni dello STRUMENTO di Lavoro sinodale Cei, Il prolungato e approfondito confronto ha fatto proprio lo stile di “privilegiare metodologie di valutazione partecipativa, valorizzare le competenze di quanti, in particolare laici, hanno maggiori

dimestichezze di rendiconto e valutazione.”

Ora, a parte la doverosa gratitudine per due presbiteri di straordinaria intraprendenza che hanno saputo incidere saldamente sul tessuto socio-ecclesiale cittadino, il problema non è tanto quello di contrapporre polemicamente capacità determinazione decisionale e collegialità trasparente nell’analisi dei problemi, quanto di saperle saggiamente contemperare, senza finire per sacrificare l’una all’altra. Il cambiamento epocale, che la Chiesa sta vivendo, impone certo il superamento di ogni residuo clericalismo anche in questo ambito e un più sagace ricorso a specifiche professionalità, ma altrettanto quell’imprenditorialità, da parte di chi decide, che sa leggere con lucidità concreta e coraggiosa le urgenze del presente, per preparare con lungimiranza il futuro.

Ciò significa da un lato anzitutto catalogare sistematicamente il patrimonio immobiliare interdiocesano, come si è opportunamente già deciso, dall’altro individuare le strutture pastoralmente essenziali all’evangelizzazione del territorio nei prossimi decenni, avendo il coraggio di una loro gestione “strategica”, fondata realisticamente sulla prospettiva di sempre più limitate risorse umane e finanziarie disponibili.

II che comporta non fermarsi a “conservare” tutto, ma dismettere/accantonare quel che appare sovradimensionato, storicamente superato o inutile ed oneroso rispetto alle necessità operative della nuova situazione, affrontando con coraggio trasformazioni/acquisizioni ritenute più di sostegno alla prassi pastorale odierna, in base anche alla diversa articolazione ecclesiale della nuova diocesi, che sta per sorgere.

Dunque sarebbe improvvido procedere a tentoni, ponendo l’attenzione su questo o quell’edificio (seminario, ex-monastero cappuccine, vescovado, villa Chierici), o peggio operando scelte in controtendenza ( alternativa futura San Nicolò-San Francesco), al di fuori di quel complessivo

“piano strategico di utilizzo del patrimonio immobiliare ecclesiastico (terreni e fabbricati) “

raccomandato dalla scheda 17 dello Strumento di Lavoro. In essa si esorta diocesi e parrocchie a

“promuovere studi e confronti con modelli e buone prassi di governance, gestione, rifunzionalizzazione, anche a fini caritativi, e rigenerazione, così da ispirare un piano di valorizzazione del patrimonio diocesano, soppesando decisioni rivolte al suo MANTENIMENTO in forme di sostenibilità o alla sua DISMISSIONE.” Parole inequivocabili, cui rispondere con

“intraprendente” determinazione. Senza invocare ancora una volta la comoda e ambigua obiezione: la Chiesa non è un’azienda. Certo non può avere in ultima istanza finalità lucrative, ma, nella gestione di risorse materiali, ogni miopia, ogni dilettantismo genera guai.

Pier Giuseppe Levoni