“Similcredenti analfabeti biblici”?

Quella mattina in duomo

Quella mattina in duomo

Ho letto di recente questa spocchiosa definizione nell’articolo di una nota teologa-biblista, che rincarava la dose con un riferimento irridente alla formazione  di certi cristiani, attraverso l’ormai famigerato Catechismo di San Pio X, quello delle domande secche e delle risposte altrettanto dirette.

E ho ripensato alla folla che ha gremito anche quest’anno a Ferragosto la nostra cattedrale per la festa dell’Assunta, con annessa processione per le vie del centro storico e la solenne benedizione finale di don Erio. Quanti di quei fedeli, mi son chiesto, potrebbero trovarsi nel novero dei similcredenti analfabeti biblici bollati dalla teologa? Un bel po’, direi, data l’età media dei presenti quella mattina in duomo.

In effetti l’odierna situazione della Chiesa Cattolica soffre di un’evidente schizofrenia. Da un lato  una base che, almeno in gran parte, vive la propria pratica religiosa in ripetitiva semplicità, secondo canoni tradizionali , sia pure in parte  proficuamente aggiornati dopo il Concilio. Una base che sta assistendo, non senza smarrimenti e preoccupazione, al calo dei preti e alla frana della frequenza dei fedeli alle liturgie: in vent’anni il numero dei “praticanti regolari” è sceso in Italia dal 36 al 19%, mentre i “mai praticanti” sono raddoppiati; ancora più grave la situazione fra i giovani (18-19 anni) che con assiduità partecipano solo per l’8%.  E qui in diocesi? Non ci sono dati aggiornati, ma non si creda che siano migliori.

Dall’altro studiosi, filosofi, sociologi, teologi e biblisti in primis, si cimentano in analisi impegnative sulla “crisi” che stanno vivendo da alcuni decenni le Chiese Cristiane nell’occidente euro-atlantico. Sono usciti in libreria, nel giro di pochi anni, importanti saggi su questo tema. Accanto al “Senza Chiesa e senza Dio – Presente e futuro dell’occidente postcristiano” del nostro concittadino Brunetto Salvarani, troviamo:  “La fine del Cristianesimo- La morte di Dio al tempo del mercato globale e di papa Francesco” di Diego Fusaro; “Fine corsa – La crisi del Cristianesimo come religione confessionale” di Luca Diotallevi; “Cristianesimo – La Religione del cielo vuoto” di Umberto Galimberti; “Opzione Francesco. Per una nuova immaginazione del cristianesimo futuro” di Armando Matteo. Inoltre negli ultimi tempi le ricerche statistiche di Franco Garelli e di altri  hanno documentato copiosamente i “dati” di una scristianizzazione sempre più grave, vissuta passivamente, senza adeguata riflessione, a livello dei praticanti di base e della gran parte delle aggregazioni laicali.

E non si creda che su questa “crisi” si teorizzi solo da alcuni anni. I presagi del fenomeno vengono da lontano. Sono ben noti i pensatori, che hanno scandagliato negli ultimi due secoli il rapporto uomo-Dio, e quello fra religione e società, individuando  i segnali premonitori di una problematica, che ha trovato però concretizzazione sempre più vistosa, a livello sociale, soprattutto negli ultimi decenni. Dopo le speranze e le tensioni dell’immediato post-concilio, la pratica religiosa anche in Italia è diminuita progressivamente, fino alla situazione odierna.  I recenti saggi sopra citati, a partire da quello corposo del nostro Brunetto, costituiscono un prezioso contributo alla riflessione della comunità ecclesiale, di certo sul suo passato e sul suo presente , purtroppo assai meno sul suo futuro. Le proposte, quando siano espresse, restano sul vago e talora comportano mutamenti  così radicali che non uno o più Sinodi, ma solo un Concilio potrebbe discutere e definire, riguardando la dimensione dottrinale e i conseguenti adeguamenti del diritto canonico. Siamo  ben al di là del semplice aggiornamento dei linguaggi ecclesiali.

Non a caso don Gildo, nel testo di recente riportato su Notizie, ci invita al realismo in merito al “che fare”, quando scrive: “Sulle grandi speranze che i cristiani possono custodire –nonostante le difficoltà di comprensione e le incertezze su cosa intraprendere – occorre non dimenticare che la difficoltà a leggere i tempi non è un incidente di percorso, ma un “costitutivo” della Chiesa….Non è solo sconosciuto il tempo del ritorno del Figlio dell’uomo, ma anche gli itinerari e le strade che la missione deve intraprendere”.

Pazienza e impegno responsabile dunque, assieme a fiducia piena nell’aiuto dello Spirito Santo, nel cammino sinodale che in questi anni anche la nostra diocesi sta compiendo. Ma  è chiaro che senza un preliminare discernimento comunitario di base,su quella che don Gildo definisce la “crisi epocale che flagella ogni forma di cristianità passata”, sarà arduo trovare le vie opportune di un rinnovamento pastorale indispensabile. Di qui la necessità che il cammino  coinvolga davvero capillarmente il Popolo di Dio, come ha raccomandato don Erio, e non un esigua minoranza.

 Se è complicato raggiungere con un dialogo non estemporaneo non solo i cosiddetti “lontani”, ma anche tutti  i “praticanti”, cioè quelli che adempiono al precetto festivo più o meno regolarmente, è certo possibile rendere più consapevoli del “cammino sinodale” almeno i membri degli organismi di partecipazione, ad ogni livello, e gli aderenti alle aggregazioni laicali. Ma occorre  a tal fine una programmazione organica e lungimirante, con le relative verifiche, non iniziative sporadiche cui partecipano i soliti noti.

Pier Giuseppe Levoni