Perché in passato troppo spesso si sono colpevolmente coperti i comportamenti illeciti di ecclesiastici? Per non scandalizzare i fedeli, per non “ screditare” la Chiesa, si pensava. Ebbene, quale parola d’ordine abbiamo sentito e letto in questi giorni dopo le polemiche intercorse fra certi organi di stampa e i vertici della nostra diocesi? “Eliminare tutte le critiche che sono un graffio sul bel volto della Chiesa”. Una singolare sintonia argomentativa su cui è bene riflettere serenamente.
Sia consentito anzitutto nutrire qualche perplessità su questo richiamo, energico nella formulazione ma di improbabile efficacia, nel clima culturale del nostro tempo postconciliare. Al di là poi della opinabile validità delle contestazioni pubblicate e delle discutibili modalità della pur legittima replica, è prioritaria una riflessione di fondo: suonare il silenzio rivela proprio la volontà di garantire totale “sottomissione” all’autorità, non certo quella di favorire la “comunione” fraterna nell’ambito della realtà ecclesiale.
Si corre in tal modo il rischio di scadere in quel “clericalismo”, in quell’abuso del potere sotto diversi aspetti, che l’attuale Pontefice bolla come vera e propria perversione nella Chiesa- Per evitare, o almeno contenere davvero le cosiddette “chiacchiere”, i commenti sussurrati, le contrarietà sotterranee, la via maestra non consiste nell’imporre il silenzio. Occorre piuttosto promuovere e favorire giorno per giorno il dialogo aperto, il confronto rispettoso ma sincero fra tutte le componenti della comunità ecclesiale.
Per questo i documenti conciliari, il Codice di Diritto Canonico e i ripetuti appelli di papa Francesco indicano chiaramente di dar vita e di far funzionare davvero gli organismi di partecipazione. Solo utilizzando saggiamente tali strumenti, senza timori spie di debolezza, si può avere il più ampio “coinvolgimento”, almeno a livello consultivo, sui problemi da affrontare e sulle scelte da adottare. Non si ledono con questa metodica pastorale le prerogative dell’autorità, diocesana o parrocchiale; anzi le si conferisce reale “autorevolezza”, stima sostanziale, prestigio effettivo e un consenso convinto, non quello solo esteriore, talora forse neppure “spontaneo”.
L’esercizio anche alacre ma “esclusivo” della “potestas regendi” da un lato, e dall’altro il “conformismo” silente e ossequioso, questi sì, feriscono il volto della Chiesa. Sono infatti l’esatto contrario dell’auspicata carità reciproca.
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