In questi mesi si è spesso parlato di RU486, la pillola abortiva introdotta in Italia già dal 2010, con regole che prevedevano il ricovero ospedaliero, regole modificate fin dall’inizio da molte Regioni, tra cui l’Emilia Romagna, con protocolli che hanno permesso l’aborto farmacologico in day hospital.
In agosto l’intervento del ministro Speranza, in contrapposizione alla presidente dell’Umbria che voleva ripristinare il ricovero ospedaliero, è andato oltre il day hospital, introducendo nuove linee guida che prevedono la possibilità di somministrare la pillola abortiva, oltreché negli ospedali, nelle strutture ambulatoriali pubbliche collegate agli ospedali e nei consultori. Oltre a questo, il Consiglio superiore di sanità ha anche espresso parere favorevole all’IVG farmacologica, fino alla nona settimana di gravidanza, rispetto alla normativa precedente che la prevedeva fino alla settima settimana.
I dati sono chiari: nella nostra regione, mentre si assiste ad un progressivo calo del numero di IVG, c’è un costante aumento del ricorso all’aborto con RU486 con il 34,1% , rispetto al 54,8% di chi ricorre all’aborto chirurgico, su un totale d 6874 donne che vi hanno fatto ricorso. Le percentuali più elevate di ricorso all’aborto farmacologico si rilevano, oltreché in Emilia Romagna, in Toscana, Liguria, Piemonte, Lazio, Umbria, Puglia, Lombardia, in virtù di protocolli applicativi che variano da regione a regione, emessi in completa autonomia, mentre al sud la pillola abortiva è meno diffusa. A Carpi, sul totale di 156 IVG praticate, quelle farmacologiche sono state 51.
Quali le criticità
Considerando che la 194/ è una legge dello Stato e che la circolare emanata dal Ministero della salute introduce cambiamenti significativi, ci si chiede se le variazioni, rispetto alla legge del 78, non debbano essere sottoposte alla discussione e all’approvazione del Parlamento. Sarebbe questa l’occasione per un confronto sulla prevenzione e la cultura proposte dalla legge che sottolinea il valore sociale della maternità e la tutela della vita umana.
Si delinea una progressiva farmacologizzazione dell’interruzione di gravidanza, con la conseguenza che la donna si ritrova sempre più sola rispetto ad una scelta che, per molte, è dolorosa e drammatica.
Esiste anche il rischio opposto e cioè che l’assunzione del farmaco deresponsabilizzi, renda sempre più semplice abortire e si cada nel rischio già espresso nella 194, secondo cui l’aborto diventa un contraccettivo.
Sul preteso “diritto di abortire” la legge 194 non lo sancisce e proprio su questo la storica femminista Muraro in una lunga intervista ad Avvenire afferma: “Un diritto ha sempre un contenuto positivo. L’aborto invece è un rifiuto, un ripiego, una necessità. La donna che non vuole diventare madre subisce un intervento violento sul suo corpo….Pensavamo e pensiamo tuttora, che se si fa dell’aborto un diritto, si autorizza l’irresponsabilità degli uomini.”
Il dibattito che si è sviluppato sulle nuove linee guida non dovrebbe essere centrato sul ricovero o meno, ma sull’accompagnamento reale della donna, teso a prevenire l’aborto o quanto meno evitare che una donna lo debba scegliere o praticare in solitudine. Il rischio della medicalizzazione inoltre può comportare la marginalizzazione di una questione sociale o antropologica importante sulla quale tutti sono invitati a riflettere.
Gabriella Contini