Roma locuta, attesa finita

Fusione

Dopo 245 anni per la nostra diocesi

Trascorso oltre un decennio del suo pontificato, si moltiplicano articoli, saggi e convegni sul quesito: che fine faranno le riforme auspicate da papa Francesco?  Le risposte in merito non concordano, ma su una questione, in sé poco ma per noi molto importante, si è sicuri: la riduzione del numero delle diocesi italiane.

Fin dal Convegno Ecclesiale di Firenze (2015) Bergoglio aveva esortato i vescovi a procedere su questo obbiettivo, ma le resistenze, ispirate da un localismo granitico quanto anacronistico, bloccavano  il tutto. Infatti della quarantina di diocesi già coinvolte, con la formula inequivocabilmente transitoria dell’unione in persona episcopi, come Modena e Carpi dal 2020, finora solo per Cuneo e Fossano si è realizzata formalmente la fusione nel giugno 2023.

Nel nostro caso l’imbarazzo provocato dal cambiamento è testimoniato dalla varietà dei vocaboli con cui è stato commentato. L’annuncio ufficiale dei due Consigli Presbiterali del 18 settembre recita: “Oggi la Santa Sede CHIEDE alle nostre diocesi di portare a termine il cammino di comunione già intrapreso”. Nella sua Lettera Pastorale don Erio cita la “recente DISPOSIZIONE della Santa Sede”.  Poi nelle interviste successive ad un quotidiano locale e a Notizie ha usato le espressioni: “INDICAZIONE di procedere verso l’unificazione”; “quando ancora non era arrivata la DETERMINAZIONE”; “abbiamo questa INDICAZIONE precisa dal Dicastero dei Vescovi e dal Nunzio Apostolico in Italia…”; e circa i tempi: “Non ci è stato DETTO entro un anno, ma quest’anno INIZIATE”.  Insomma si capisce che, di fronte alle resistenze della periferia, Roma ha ordinato bruscamente di non indugiare oltre.

Sempre in ordine ai vocaboli, si rifiutano radicalmente, quasi siano blasfemi, un sostantivo ed un suo omologo verbo. Dice don Erio: “… non esiste l’ACCORPAMENTO delle Diocesi, c’è una fusione, dove nasce, diciamo così una terza Diocesi. Quindi nessuna ASSORBE l’altra”.  E don Carlo Truzzi in un recente articolo sul nostro blog scrive: “Le due diocesi cesseranno di esistere e formeranno  un’unica diocesi nuova. Pertanto non si parli di assorbimento, di fusione o di accorpamento”.

Ora, sicuramente cesseranno di esistere come enti giuridici autonomi, non altrettanto in fretta come storia passata e realtà attuale, nei loro vari risvolti:  dimensione territoriale, risorse, riferimento socio-civico-culturale, modalità pastorali fin qui adottate,ecc. Anche il paragone di don Carlo al manzoniano matrimonio che in questo caso s’ha da fare, a ben riflettere, può illuminare le indubbie problematiche, che, per le due parti in causa, il passaggio comporta.

E’  allora comprensibile questo sforzo di evitare, per quanto possibile, che l‘operazione sia vissuta dai carpigiani-mirandolesi come un vulnus, una perdita secca; detta in gergo: “un passare sotto Modena”, con la conseguente sensazione di subire un torto, una diminutio di prestigio per un’esperienza ecclesiale canonicamente autonoma da secoli.

Non a caso anche il direttore de facto di Notizie  mira a rincuorare in proposito i lettori quando scrive: “Le radici di una Chiesa locale non si trovano nelle pergamene bollate istitutive di una diocesi, nei secoli e nei millenni; esse affondano nell’adesione a Cristo e alla sua Chiesa che in ogni tempo e ad ogni generazione si rinnova generando un popolo di testimoni”. In soldoni, niente recriminazioni e mugugni: la nostra storia e la realtà positiva, che la diocesi di Carpi costituisce concretamente, non spariranno  per una rivoluzione burocratica, ma fermenteranno positivamente nell’unione che nasce.

In effetti, quando come oggi si discute di tramonto del Cristianesimo euro-nordamericano, di calo vertiginoso di vocazioni e praticanti e di post-teismo, preoccuparsi delle ricadute negative della fusione delle nostre due diocesi sembra piuttosto provinciale. Tanto è vero che non si ha notizia di rimpianti o proteste, come accadde invece nel settembre 2019, allorché Voce pubblicò una mia nota, in cui si prefigurava quanto ora si compie, e qualcuno ingenuamente si sdegnò e ne scrisse.

Il Vescovo ha già illustrato le “tre aree di cammino” individuate nel processo verso l’unificazione: pastorale, territoriale e amministrativa. Quest’ultima appare a don Erio la più complessa, “perché significa mettere insieme le Curie, gli uffici di Curia, l’Istituto Diocesano sostentamento clero, attraverso passi di carattere gestionale,fiscale che dovranno essere affidati ovviamente a degli specialisti”. Insomma un piccolo/grande terremoto organizzativo- economico-burocratico, il cui timore probabilmente, assieme alle nostalgie, ha finora bloccato, in tutte le diocesi interessate, il processo tanto sollecitato da papa Francesco.

Curiosa e un po’ umoristica nota finale: la spinta decisiva a uscire dal limbo, come detto, è venuta  dalla Santa Sede. Ma nel decreto papale, che sancirà l’unificazione, troveremo esattamente l’opposto:  “Pertanto avendo il venerabile fratello Erio Castellucci, Vescovo delle Chiese di Modena e Carpi unite in persona episcopi RICHIESTO che queste due realtà fossero congiunte in modo più pieno per formare un’UNICA Chiesa, con parere favorevole del Nunzio Apostolico in Italia, ecc.”.  Gli increduli possono leggere sul web la formula di rito adottata per il caso Cuneo-Fossano.

Insomma, gli scontenti della fusione non sapranno con chi prendersela. 

Pier Giuseppe Levoni