Riforma immobiliare delle parrocchie e altri enti

RIFORMA IMMOBILIARE DELLE PARROCCHIE E ALTRI ENTI

L’attuale importante riduzione della pratica religiosa comunitaria e del numero dei preti pone il problema dell’eccesso attuale di parrocchie. Preciso subito che con questo nome intendo solo le aggregazioni che sono in grado di rispondere alle domande e le esperienze di base dei fedeli, sotto la guida di un presbitero. Quelle che oggi sono considerate parrocchie, ma, pur avendo un territorio e un parroco, non rispondono al criterio su esposto, preferirei chiamarle “comunità” semplicemente. Quando vent’anni fa il vescovo Elio Tinti mi chiedeva quante delle 37 parrocchie della diocesi ritenessi all’altezza del titolo, risposi che ne vedevo circa 15. Ora è un numero che va ulteriormente ridotto. Fra vent’anni immaginerei che in diocesi rimarrebbero soltanto cinque parrocchie in senso pieno, come sopra precisato, insieme con un numero imprecisato di “comunità”.

“Parrocchie o “comunità” che siano, con la diminuzione della pratica religiosa le future aggregazioni richiederanno un ridimensionamento degli immobili attuali a disposizione. Potrà accadere soprattutto nelle parrocchie di più limitate dimensioni.

Ormai non c’è più nessun sagrista impiegato come dipendente se non in pochissime parrocchie, ma ci sono stabili dedicati a questa figura. Un tempo la parrocchia ospitava il parroco, che spesso aveva con sé i genitori o altri familiari e più di una volta un cappellano. Diverse parrocchie ora non hanno più il parroco residente sul luogo, certe attività con i bambini e i giovani sono ridotte o soppresse. Più avanti anche alcune chiese saranno superflue, come accade oggi in vari paesi europei.

La manutenzione dei locali è sempre un costo, specialmente nel caso del nostro patrimonio edilizio parecchio vecchio. E’ bensì vero che restauri post-terremoto stanno dando immobili rinnovati, ma anche molte volte sovradimensionati rispetto a un auspicabile utilizzo pastorale.

C’è un problema organizzativo economico, che richiede già ora delle risposte o almeno dei progetti: immobili venduti interamente o parzialmente, ridotti, riciclati a uso civile. Non se ne sa nulla, ma parliamone.

Oltre a un motivo di razionalità economica, ce n’è uno specifico ecclesiale. La chiesa deve avere uno stile di sobrietà, scelto liberamente, ispirato a Cristo e agli apostoli. “Le ricchezze della chiesa possono esistere solo per costruire condivisione, non per affermare prestigio e potere” (E. Castellucci). Conosco una parrocchia con un progetto interessante: la canonica restaurata, dopo aver rispettato i vincoli di legge, sarà destinata a fini sociali, bastando altri locali per il servizio della comunità. “Il rapporto tra fede e denaro deve svilupparsi dentro una prospettiva evangelica, alla scuola di maestri come Francesco d’ Assisi” (E. Castellucci).

Carlo Truzzi