Ricordatevi dei vostri capi

Gratitudine doverosa

Gratitudine doverosa

“Tu es sacerdos, tu es sacerdos in aeternum” cantavo quella mattina estiva del 1945, nella chiesa di Gavello, partecipando, con la Corale “Perosi” creata e diretta dal vulcanico don Vincenzo Benatti, alla prima messa del novello sacerdote don Nino Levratti. Fu quella una giornata memorabile, anzitutto per il viaggio della comitiva laggiù a bordo di un camion scoperto e per il solenne rito nel tripudio dei parrocchiani; ma pure per il pranzo sostanzioso offerto a noi affamati coristi,ospitati in altrettante famiglie, e per il concerto pomeridiano in cui ci esibimmo, al ritorno, nella piazza di Cavezzo , con le strade ancora affollate di mezzi militari alleati, a poche settimane dalla Liberazione.

 Questi ricordi mi sono affiorati, leggendo due buone notizie sul settimanale diocesano. La prima riguarda l’iniziativa davvero encomiabile del nostro Vicario Generale di riunire nella cripta del Cimitero cittadino i resti mortali di alcuni sacerdoti, tre dei quali carissimi ai carpigiani: mons. Renzo Catellani, mons. Enea Tamassia e mons. Giuseppe Tassi. La seconda concerne l’attenzione particolare posta di recente dal  Consiglio Presbiterale  alla situazione e alle prospettive di necessario adeguamento della Casa del Clero, sita nell’ormai ex-seminario, in cui sono accolti ed assistiti alcuni anziani presbiteri.

Si tratta di due segni importanti, nello spirito di quanto esorta la Lettera agli Ebrei (13, 7-8): “Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunziato la parola di Dio; considerando attentamente l’esito del loro tenore di vita, imitatene la fede.” L’invito è rivolto certo ai fedeli, ma non esime chi governa le comunità ecclesiali dal rispondervi adeguatamente. A questo livello bisogna riconoscere allora che, sulla doverosa riconoscenza della nostra Diocesi verso i suoi preti, dopo decenni di loro generoso servizio pastorale, le carenze non sono mancate. Particolare esempio di questo deficit di riconoscenza è senz’altro il semioblio in cui si è lasciata per oltre settant’anni la figura del sacerdote martire don Francesco Venturelli, del quale tuttora si stenta a valorizzare, come si dovrebbe, l’eroica testimonianza e la pur riconosciuta, a parole, “santità sacerdotale”.

Ma se pensiamo alla spesso precaria condizione passata e presente dei nostri preti anziani e fragili, nonché a quelli che ci hanno lasciato e le cui tombe per lo più rischiano di essere dimenticate, in assenza di parenti prossimi, si deve ammettere che davvero è lodevole ogni iniziativa concreta per dimostrare  affetto e gratitudine a chi ha speso la vita nel servizio pastorale nelle nostre parrocchie.

E ciò appare tanto più necessario in un tempo segnato, per varie e ben note ragioni, da una certa difficoltà,nel clima socioculturale corrente, a valutare spesso con obiettività l’apporto fondamentale della stragrande maggioranza dei sacerdoti alla tenuta  complessiva del tessuto comunitario ecclesiale, e non solo. Anzi non sono rari sui media atteggiamenti di diffidenza, di malcelata ironia e talora di sarcasmo nei loro confronti.

Ora, finché è presente ed impegnato in parrocchia, l’affetto e la collaborazione della parte più vicina ed assidua dei fedeli assicurano al prete quasi sempre una non troppo onerosa  condizione di vita, malgrado oggettive difficoltà, impegni sempre gravosi e momenti complicati, come nel caso di infermità. Purtroppo le cose cambiano, e sovente non in meglio, con l’avanzare dell’età e l’addio alla parrocchia.

Se poi, come si è detto, il clima esterno è meno empatico di un tempo, e  la gestione diocesana non affronta con adeguato impegno queste situazioni problematiche, il senso di frustrazione  può venire alimentato anche da dubbi e incertezze sul senso stesso della vocazione vissuta. Infatti, allargando lo sguardo al dibattito teologico-pastorale in corso sulle riforme anche strutturali di una Chiesa in uscita, di fronte alle sfide imposte dall’odierno contesto post-secolarizzato, emergono voci che pongono in discussione lo stesso ruolo del prete. Nel comprensibile e positivo sforzo di promuovere una più incisiva e responsabile “presenza” dei laici da un lato, e nella sottolineatura decontestualizzata del concetto di “sacerdozio comune di tutti i battezzati”dall’altro, rischia di dissolversi,  secondo l’ottica di certe teorizzazioni, lo specifico  spessore ministeriale ed ordinato del prete , chiaramente ribadito invece dai documenti del Vaticano II. Insomma, per taluni, che invocano la desacramentalizzazione della Chiesa, il sacerdote (pardòn: presbitero) cattolico dovrebbe alla fin fine assomigliare di più al pastore luterano o valdese.

E’ evidente che solo un nuovo Concilio potrebbe dirimere controversie di questa natura, se si vogliono evitare strappi dolorosi. Nel frattempo si  rinunci pure a cantare il  “Tu es sacerdos” del tempo che fu, nelle sempre meno frequenti “prime messe”. Ma si assicuri la più calda e concreta vicinanza  a tutti i nostri preti, compresi quelli in veneranda età e in malferma salute. E si perpetui, come è equo e salutare, il ricordo di quanti di loro stanno già godendo, in paradiso,  il meritato premio per una vita spesa nell’impegno di servire Cristo e i fratelli, assunto il giorno dell’ordinazione.

Pier Giuseppe Levoni