Ragione e fede

Ragione e fede

Come cristiano, non posso non pormi il problema della relazione tra la ragione umana e la fede nella rivelazione divina, problema filosofico e teologico allo stesso tempo. Per ragione intendo la conoscenza che è frutto dell’intelligenza naturale dell’uomo; per fede intendo la conoscenza che deriva dalla rivelazione soprannaturale di Dio.

Relazione tra ragione e fede

Tra ragione e fede c’è una distinzione essenziale, ma non separazione. C’è distinzione perché la fede supera le possibilità della ragione; ma non c’è separazione, perché la fede e la ragione hanno per oggetto la verità, che nella sua pienezza è una sola.

Ciò significa che la ragione e la fede hanno un campo di conoscenze distinto ma non separato. La ragione può penetrare nel campo delle conoscenze della fede, mossa dalla sua inclinazione a vedere e a perscrutare, dal suo desiderio di scoprire l’ordine interno della verità e dalla sua aspirazione a una conoscenza e a una sapienza sempre più perfette. È quello che si verifica nella teologia. A sua volta la fede può entrare nel campo della ragione offrendole l’aiuto che deriva da una luce e da una verità più piena, che possono potenziare la ragione ed elevarla.  Ed è quello che si verifica nel caso della filosofia cristiana.  

La teologia

La teologia è lo sforzo che la ragione compie per comprendere un poco i misteri della fede. In questo sforzo il teologo dispone di due mezzi: la luce che proviene dalle stesse verità rivelate e la luce che deriva dalla ragione e dalle verità che essa è in grado di elaborare, ossia dalla filosofia.

La teologia ha bisogno di una filosofia. Non solo per chiarire i “preamboli della fede”, ma anche per comprendere nella misura del possibile le stesse verità di fede. Negare la necessità della ragione nella comprensione della fede, implicherebbe cadere in un fideismo che sarebbe la negazione stessa della fede in senso vero. Come dicevano gli scolastici, “è necessario capire per credere”. Intelligo ut credam.

La filosofia, però, serve alla teologia solo nella misura in cui è espressione di verità. Per questo, non qualsiasi filosofia serve alla teologia. La filosofia che serve può essere soltanto una filosofia dell’essere, una filosofia che esplicita il contenuto dell’esperienza più fondamentale dell’uomo.

Questa filosofia, da una parte esclude ogni forma di empirismo e di positivismo, incapaci di cogliere l’intelligibilità e la verità delle cose, e dall’altra parte esclude qualsiasi forma di soggettivismo e di idealismo che riducono la verità a una pura costruzione dello spirito umano. Secondo Maritain, storicamente l’unica filosofia che può prestare un servizio valido alla teologia è la filosofia di San Tommaso.

Perfezionando la filosofia di Aristotele, che era una filosofia dell’ente, San Tommaso elaborò una filosofia dell’essere. La differenza tra Aristotele e San Tommaso è fondamentale. Una filosofia dell’ente rimane lungo la strada e non può giungere a una visione completa della realtà; la filosofia dell’essere, invece, giunge fino all’intuizione più originale e  più comprensiva  di cui  la ragione è capace. Una metafisica fondata sull’intuizione dell’essere per sua natura è capace di comprendere tutto senza escludere niente.

Solo la filosofia che ha il suo punto di partenza nell’intuizione dell’essere può permettere alla teologia di contemplare, nella luminosa oscurità dei misteri della fede, la Causa non creata dell’essere, ossia l’Essere stesso sussistente. Solo questa filosofia è capace di mostrare che tra la verità rivelata e la verità filosofica non c’è opposizione ma profonda analogia. E proprio perché c’è analogia, la ragione umana può comprendere la Rivelazione, anche se non riesce a spiegarla.  Questa filosofia dell’essere, proprio perché giunge fino all’intuizione più originaria e più comprensiva, contiene implicitamente tutto quello che c’è di verità nelle altre filosofie e può essere chiamata con diritto “filosofia perenne”.

Per questa ragione, la Chiesa ha indicato come dottore comune e universale San Tommaso D’Aquino. La metafisica di San Tommaso, compresa nella sua pienezza, è l’espressione più alta della conoscenza umana. Insuperabile in se stessa e, allo stesso tempo, inesauribile nelle sue implicazioni, essa è la conoscenza umana stessa nella sua attività permanente di interpretazione razionale dell’uomo e del mondo. In San Tommaso, scrive Maritain, la Chiesa difende qualcosa che è molto più di San Tommaso.

La filosofia dell’essere ci permette di alzare il nostro sguardo fino a Dio, l’Essere supremo, pur rimanendo sempre molto ben radicati nell’esperienza umana più autentica.  L’essere non è un concetto astratto, frutto di complicate elaborazioni intellettuali, ma è un dato primo, immediato, colto, sia pure implicitamente, in qualsiasi esperienza umana. L’essere è già colto implicitamente in ogni esperienza sensibile ed è affermato esplicitamente e necessariamente in qualsiasi giudizio.  

 La filosofia dell’essere non è nient’altro che una esplicitazione del contenuto innegabile di qualsiasi esperienza umana. E proprio perché è radicata nell’esperienza, la filosofia dell’essere sfugge a qualsiasi forma di razionalismo, senza cadere in un soggettivismo in cui la conoscenza non si distingue da una semplice emozione. La filosofia dell’essere ha una risonanza nell’esperienza autentica dell’uomo ed è in grado di dimostrare che le grandi verità filosofiche, prima ancora di essere provate filosoficamente, sono affermate nell’esperienza vissuta di ognuno. E tra queste verità non possiamo non includere l’esistenza di Dio e l’immortalità della coscienza.

 “Di fatto, prima di penetrare nella sfera della conoscenza completamente formata e articolata, lo spirito umano è capace di una conoscenza pre-filosofica, che è virtualmente metafisica. È qui che si trova la prima via di accesso che lo porta a rendersi conto dell’esistenza di Dio ” (J.Maritain, Caminhos para Deus, p.18). Questo passaggio è dato dall’intuizione naturale dell’essere, dall’intuizione dell’atto di esistere, che è la forma di ogni forma, la perfezione di ogni perfezione.

 “Questa intuizione primordiale è, allo stesso tempo, l’intuizione della mia esistenza e dell’esistenza delle cose… Quando ho questa intuizione, comprendo repentinamente che una data entità, uomo, montagna o albero, esiste ed esercita questa attività sovrana di essere, in totale indipendenza da me, totalmente affermativa di se stessa e in un modo che non può essere assolutamente contraddetto. Allo stesso tempo, comprendo che esisto anch’io, anche se mi sento come circoscritto e limitato in una solitudine, di cui percepisco tutta la fragilità proprio di fronte all’esistenza delle cose, che è soltanto loro, non mi appartiene, non vi posso prendere assolutamente parte e in rapporto alla quale è come se io non fossi nulla. In questo modo, l’intuizione primordiale dell’essere è l’intuizione della solidità e della inesorabilità dell’esistenza e, in secondo luogo, è l’intuizione della morte e del nulla al quale è soggetta la mia esistenza. In terzo luogo, in uno stesso lampo di intuizione che non è altro che la mia presa di coscienza del valore intelligibile dell’essere, comprendo che questa esistenza solida e inesorabile, percepita in non importa quale cosa, implica necessariamente un’esistenza assoluta, per la quale il nulla e la morte sono realtà del tutto estranee”

“Questi tre passaggi – mediante i quali l’essere intelligente arriva prima all’esistenza attuale dell’ente distinto da lui come qualcosa che si impone indipendente dal suo pensiero; poi, da questa pura esistenza oggettiva alla propria esistenza minacciata; e, in fine, dalla sua esistenza circondata dal nulla alla esistenza assoluta dell’Essere assoluto – si verificano all’interno della stessa e unica intuizione”(J.Maritain,Op. cit. p.19).

Le prove dell’esistenza di Dio sono l’esplicitazione e l’elaborazione razionale dell’intuizione primordiale dell’essere. Non sono, quindi, deduzioni di tipo logico o matematico; per cui sono estranee a qualunque forma di razionalismo.

La stessa cosa si verifica nella prova dell’immortalità dell’anima. Anteriore alla prova filosofica, c’è una conoscenza istintiva, inerente alla coscienza che il soggetto ha di se stesso. Nella sua autocoscienza l’uomo percepisce il proprio io come un centro che trascende tutti i fatti e i fenomeni psichici che si riferiscono a lui, e persino il tempo. Per cui, non ha coscienza che, in quanto  io cosciente, sia votato alla morte. Al contrario, egli si percepisce come un essere non soggetto al tempo che, come tale, nel suo esistere non può lasciare di esistere. (Cf. J.Maritain, Da Bergson a Tommaso D’Aquino, pp.143-151).

 Le verità più fondamentali sono conosciute ancor prima di essere pensate. Proprio per questo, tali verità, indispensabili perché la nostra fede possa essere un ossequio razionale a Dio, sono conosciute anche da chi non è filosofo di professione. Tuttavia, una filosofia che sia l’esplicitazione delle verità fondamentali presenti nell’esperienza vissuta di ognuno di noi, è indispensabile quando si desidera una comprensione maggiore della fede, ossia quando si fa teologia. La teologia ha bisogno della filosofia.

La filosofia cristiana

Così come la ragione concorre alla comprensione delle verità della fede, quest’ultima illumina la ragione e le apre orizzonti più vasti, rendendo possibile una filosofia che con diritto può essere chiamata cristiana. (Cf. J. Maritain,  Le Paysan de la Garonne, p.210).

La fede e la teologia offrono alla ragione e alla filosofia un doppio servizio: – permettono di cogliere con maggiore sicurezza e lucidità certe verità naturali (riguardanti l’uomo e Dio), che nell’attuale situazione dell’uomo possono essere raggiunte solo con grande difficoltà; – proiettano una luce nuova sulle verità naturali, in modo che queste lasciano trasparire un significato più pieno e più profondo (per esempio, il concetto di persona).

 Inoltre la filosofia pratica, ossia la filosofia morale, come pure la filosofia della storia, riceve dalla fede il suo vero oggetto, dal momento che l’uomo reale non è l’uomo della natura pura, ma un uomo che ha una vocazione soprannaturale.

 In ogni caso, la filosofia cristiana continua a essere filosofia, in quanto lavora con la luce della ragione, in piena autonomia dalla teologia. “La filosofia veramente cristiana, scrive Maritain, è la filosofia più integralmente e più veramente filosofica” (De la philosophie chrétienne, p.105).

San Tommaso ha elaborato la sua filosofia dell’essere a partire dalla ontologia di Aristotele, il cui pensiero predominava nell’orizzonte culturale del suo tempo. Oggi, è più efficace sviluppare lo stesso pensiero metafisico partendo dalla esperienza interiore della coscienza. Su questa linea è possibile recuperare ciò che c’è di più valido nella filosofia moderna, superare lo scientismo predominante nel ventesimo secolo e affrontare in modo più positivo le problematiche esistenziali dell’uomo d’oggi. In questo mi sembrano maestri da seguire, non solo grandi discepoli di Tommaso come Maritain e Lonergan, ma anche pensatori meno facilmente catalogabili come Romano Guardini.

Un dialogo non superficiale con la cultura contemporanea, da parte della comunità ecclesiale, è possibile senza una solida preparazione filosofica, almeno nei suoi elementi fondamentali?

Gli attuali percorsi formativi per futuri presbiteri, per insegnanti di religione nelle scuole superiori, per studenti universitari e laici impegnati nella pastorale delle nostre diocesi, tengono conto di questa esigenza?

Il dubbio è legittimo.

Tommaso Cavazzuti