Lunedì 7 dicembre abbiamo appreso che abbiamo un vescovo “di ruolo” nella persona di mons. Erio Castellucci. La notizia, conosciuta riservatamente da martedì 1 dicembre (perché questo ritardo nella comunicazione?), è stata accolta con molta soddisfazione dai preti e fedeli presenti in cattedrale. Non è stata letta la bolla di nomina, ma ci è stato detto che la diocesi di Carpi viene “unita a quella di Modena-Nonantola nella persona del vescovo” di entrambe le diocesi. Abbiamo poi ascoltato le parole di accettazione di mons. vescovo e una interpretazione di don E. Manicardi, che comparirà su Notizie.
Siamo giunti a un punto di equilibrio provvisorio di due orientamenti: la continuazione di Carpi come diocesi e la sua unione definitiva o fusione con la diocesi di Modena-Nonantola.
Aveva caldeggiato la prima soluzione il vescovo Erio, sostenuto dalla Conferenza Episcopale dell’Emilia Romagna e da parecchi presbiteri di Carpi. Non ci fu però una vera consultazione del popolo di Dio.
I sostenitori di questo punto di vista pensano che la diocesi rimarrà autonoma per due sostanziali motivi: l’attuale vitalità della diocesi e la sua storia “di peso”. A rinforzo si portano i numeri importanti degli abitanti (130.000) e del personale ecclesiastico (60 presbiteri multietnici e una ventina di diaconi).
La soluzione della fusione con Modena invece risponde alle direttive generali di Francesco, che da tempo ritiene che le 234 diocesi italiane siano troppe. Oltre ad avere unito definitivamente alcune diocesi, altre il papa le ha unite “nella persona del vescovo”, come avviene ora per Carpi. Un procedimento analogo si osserva quando una parrocchia più piccola viene unita a una più consistente con un solo parroco. Accade spesso per mancanza di preti, ma anche – dovrebbe essere soprattutto così – per una concentrazione delle energie. E’ un tempo di affievolimento della partecipazione stabile e territoriale dei cristiani. Tuttavia si può osservare che, se mancano i parroci, non mancano certo le vocazioni all’episcopato. Quanto alla vitalità autosufficiente della diocesi di Carpi, mi è difficile esprimere una valutazione complessiva degli ultimi dieci anni. Con quali criteri poi? Oltretutto è stato ed è un periodo di crisi: terremoto, gestione centrale problematica della diocesi, ora pandemia. Per quanto riguarda il lungo periodo, la storia ci dice che Carpi, con un piccolo territorio intorno, ha conosciuto periodi alterni. Ebbe una vita vivace come parrocchia rurale (“pieve”) nel tardo medioevo, quando ebbe dal papa Pasquale II (112) il privilegio di un’autonomia economica e amministrativa rispetto a Modena, Nonantola e Reggio Emilia. Dopo un periodo grigio, fu rilanciata dal Alberto III Pio agli inizi del Cinquecento. Le parrocchie vicine vennero spogliate dei loro beni a favore della prelatura di Carpi. Questa divenne più forte e quelle più docili. La costituzione in diocesi, sgradita a lungo a Modena e Reggio, riuscì alla fine, per motivi di politica ecclesiastica, al duca “sagrestano” di Modena nel 1779. I diocesani allora erano circa 15.000. Alla attività del duca dobbiamo pure l’abbattimento o la vendita di quindici chiese a Carpi e Mirandola. Cammino analogo fu quello di Guastalla, diocesi dal 1828. Nel 1821 il nostro territorio diocesano poi raddoppiò acquisendo da Reggio le parrocchie esistenti negli attuali comuni di Novi, San Possidonio, Concordia, Mirandola.
L’unità bipolare Modena-Carpi, da ora vigente nella figura di un unico presidente di due realtà distinte, come evolverà? Ci sarà solo una redistribuzione organizzativa e pertanto un composto instabile o un’unità organica e pertanto stabile? Ci tocca forse ancora un po’ di limbo?
Aspettiamo la parola del vescovo e parliamone stavolta davvero tutti.
Carlo Truzzi