Purché funzioni davvero

Purché funzioni davvero

Dopo 7 anni in cui il Consiglio Pastorale Diocesano (CPD) non è neppure stato costituito, mons. Castellucci ha provveduto ora sollecitamente a rimediare alla carenza,  sulla base della sinodalità sempre raccomandata da papa Francesco. Come prevede lo Statuto, questo fondamentale organismo di partecipazione del Popolo di Dio, che è la Chiesa locale, ha lo scopo di contribuire, in collegamento con il Consiglio Presbiterale e  con gli analoghi organismi parrocchiali, allo studio dei problemi pastorali, alla maturazione di valutazioni e proposte operative. In particolare deve cooperare alla preparazione del Piano Pastorale e a verificarne periodicamente l’attuazione. A tale scopo, afferma il Regolamento, il Consiglio si riunisce almeno tre volte all’anno e può costituire al suo interno apposite commissioni di studio e proposta ed altre per la realizzazione di specifiche iniziative.

Chi ha qualche esperienza in materia di funzionamento di un simile organismo collegiale, considerati gli ambiziosi compiti ad esso affidati e la composizione numerica (40 membri) del CPD, si rende conto del complesso impegno che ne comporta la  conduzione, onde evitare il rischio di una sua presenza meramente formale e quindi improduttiva.

Ci poniamo perciò qualche domanda. Anche ammettendo che sia funzionalmente sufficiente una Presidenza,come delineata dal Regolamento (Vescovo, Vicario Generale, Segretario), la costituzione di commissioni è una possibilità o  non piuttosto un’inderogabile esigenza? Non si vede infatti come lo svolgimento serio di lavori su tematiche importanti possa aver luogo solo  attraverso  assemblee plenarie, senza un confronto, di elaborazione e di proposta, in gruppi più ristretti di Consiglieri. Questa prospettiva di lavoro evidentemente comporta, fra l’altro, una calendarizzazione deille riunioni che supera di gran lunga il minimum previsto dalla norma.

Ma veniamo al nodo essenziale. Se si intende, con papa Bergoglio e la sua Evangelii Gaudium, valorizzare sul serio gli organismi di partecipazione, basta richiamare la spiritualità di comunione proposta da precedenti documenti magisteriali, o non è più opportuno e saggio progredire, gradualmente ma con coraggio, verso spazi sempre più ampi di quella corresponsabilità, che davvero  rende concreto e non marginale l’apporto dei laici? Limitarsi, sempre e comunque, alla semplice consultazione non pare tener conto del cambio d’epoca che stiamo attraversando e non pone al riparo dal clericalismo, denunciato dal Pontefice come esiziale piaga della Chiesa.

Quando poi si chiama in causa il Piano Pastorale e particolarmente la verifica della sua attuazione si pongono precise ipoteche in ordine al modo di formulare il testo programmatico, annuale o di più ampio respiro che sia, nonché su  strumenti e tempi per controllarne l’esito effettivo. Altrimenti la verifica medesima appare mera utopia. Capita analogamente spesso, ad ogni livello ecclesiale, che si emanino documenti importanti, se ne raccomandi la lettura e lo studio, con riscontri in gran parte limitati, se non nulli. Per restare fra noi, chi sa dire quante parrocchie e aggregazioni laicali hanno effettuato un’analisi non banale della recente lettera pastorale E camminava con loro dell’arcivescovo Castellucci? O della Evangelii Gaudium, il testo programmatico di questo pontificato? Quanti si rendono conto che il pur generoso e benemerito fare, se non  si alimenta robustamente di riflessione, rischia di non raccogliere, a livello pastorale, i frutti sperati?

Infine si pone il problema di garantire un reale e costante rapporto fra i lavori del CPD e il contesto ecclesiale; a partire da una loro puntuale pubblicizzazione, almeno attraverso il settimanale e il sito di cui dispone la nostra diocesi. Solo così il coinvolgimento e l’interesse del Popolo di Dio che qui abita potranno favorire il processo di maturazione del suo sensus ecclesiae.

Pier Giuseppe Levoni