Processi partecipativi

Evangelii Gaudium scrive nel capitolo sulla trasformazione missionaria della chiesa: “[Il Vescovo] nella sua missione di favorire una comunione dinamica, aperta e missionaria, dovrà stimolare e ricercare la maturazione degli organismi di partecipazione proposti dal Codice di diritto canonico e di altre forme di dialogo pastorale, con il desiderio di ascoltare tutti e non solo alcuni, sempre pronti a fargli i complimenti. Ma l’obiettivo di questi processi partecipativi non sarà principalmente l’organizzazione ecclesiastica, bensì il sogno missionario di arrivare a tutti” (EG 31). Quanto vale per il vescovo, vale naturalmente anche per il papa e per l’ultimo dei responsabili nella chiesa.

Qui non vogliamo indugiare su una teologia tante volte ripetuta, ma soffermarci su alcune indicazioni di metodo utili a tutti i livelli. Ci limitiamo ad alcuni punti.

  1. Occorre uno scopo, un orizzonte condiviso dei partecipanti alla riunione, sia che si tratti di mettere a fuoco un problema, sia che si preveda una decisione operativa.
  2. Un’utile trattazione di un argomento richiede che sia a disposizione previamente una sufficiente informazione. Il pretesto di non informare viene comunemente motivato con pericoli per l’istituzione o pregiudizio per le persone. Se le motivazioni sono generiche, questa obiezione va respinta, perché pregiudica risultati utili. La comunicazione è però in ogni caso un atto di responsabilità in chi trasmette e in chi riceve. Comporta anzitutto un rapporto sincero tra le persone. Che cosa comunichi a chi consideri nemico, ambiguo, incapace?
  3. La riunione può partire da una liberazione spontanea delle idee (brainstorming), ma poi bisogna presto arrivare a uno schema di discussione o, per le decisioni pratiche, a una bozza di progetto. E’ normale che ci sia un argomento principale. Purtroppo più di una volta ci si ferma al primo stadio e si produce una discussione da bar, che non sfocia da nessuna parte e deprezza il valore dell’assemblea.
  4. E’ molto importante la figura del moderatore, un arbitro che fa rispettare a tutti ragionevolmente le regole del gioco: né rissa, né estraniazione di qualche partecipante, né palla fuori dal campo, ma convergenza sull’argomento e attenzione a tutte le persone presenti.
  5. La chiesa non è una democrazia, ma una comunità fraterna che, quando si riunisce, cerca di conoscere la volontà di un unico Padre su un punto concreto. Non si procede per far emergere una maggioranza, ma un consenso ampio. Vox populi, vox Dei: la voce del popolo cristiano è voce di Dio. Meglio un rinvio, che una sintesi non ampiamente condivisa. Questo è stato il metodo del Concilio Vaticano II e anche del Sinodo dei vescovi.
  6. Consultivo – deliberativo. Tutti gli organismi di partecipazione, dal Sinodo dei vescovi in giù, hanno un potere consultivo e non deliberativo. Anche nei pochi casi (per lo più economici) in cui il consenso del Consiglio è richiesto, il vescovo e il parroco possono decidere il contrario, sia pure con l’obbligo di motivazione. Questo ordinamento canonico non rende di poco valore il parere degli organi di partecipazione. Alla luce di quanto detto al n. 5, l’autorità non ha di mira il dominio, ma il servizio e il comando esprime un’obbedienza del responsabile a una volontà di Dio interpretata per il presente. La forza e l’autorevolezza di un organismo ecclesiale di partecipazione dipende dalla sua capacità di discernere “quello che lo Spirito dice alla Chiese”.

Don Carlo Truzzi