Il “come” e il “che cosa”
Nel percorso sinodale di questo anno pastorale la Cei ha proposto di proseguire la fase di ascolto, in particolare di quanti finora non sono stati coinvolti. Secondo l’icona biblica di Gesù che si reca a Betania ove incontra Marta e Maria, si suggeriscono tre cantieri: la strada e il villaggio (il contesto in cui è immersa la comunità ecclesiale), l’ospitalità e la casa ( attenzione e accoglienza cordiale, come stile proprio del cristiano), il servizio concreto e la formazione spirituale ( impegno del credente nel cammino di santificazione).
E’ lasciata alle Chiese locali la possibilità di aggiungere un quartocantiere che valorizzi una priorità emersa durante il percorso compiuto nel primo anno . Le diocesi di Modena e Carpi hanno in proposito concordemente individuato come tema su cui lavorare quello dei linguaggi, ovvero, leggiamo su “Notizie”, COME si annuncia Cristo Risorto, si celebra la liturgia,si fa catechesi. Apparentemente la scelta può apparire in controtendenza rispetto al percorso di ascolto, dato che riflettere, sul COME adeguare alle attuali sensibilità la proposta cristiana, pone al centro il soggetto che si esprime con parole e gesti concreti.
Ma così non è, dato che si tratta cioè di capire, attraverso l’ascolto del vissuto reale delle persone, i limiti e le insufficienze delle modalità comunicative fin qui utilizzate, al fine di porvi rimedio, anche se qualche passo in talune direzioni è stato fatto, e sarebbe ingeneroso non riconoscerlo. Soprattutto nell’ambito della catechesi lo sforzo di aggiornare metodologia e prassi didattica, privilegiando la via esperienziale, è stato continuo nell’accompagnare l’iniziazione alla fede; meno rinnovata e poco seguita quando si fa, quella rivolta agli adulti. Tutta da scoprire appare poi la via più idonea per il primo annuncio “in uscita”, oggi indispensabile, esaurendosi progressivamente il tradizionale passaggio intergenerazionale del messaggio cristiano.
D’altra parte proporre la tematica dei linguaggi può sembrare singolare in un tempo in cui si enfatizza la capacità attrattiva della testimonianza nell’evangelizzazione; si privilegia il valore dell’esempio rispetto alle parole, dimenticando che gli apostoli si rivolgevano a Gesù chiamandolo, non benefattore o guaritore, ma Maestro, e gli chiedevano di “spiegare” il senso delle sue parabole.
Comunque il problema dell’adeguamento dei linguaggi è ineludibile e opportuna si rivela la scelta di questa tematica nel percorso sinodale delle nostre due diocesi, pur nella consapevolezza della difficoltà di cambiare e di innovare in questo ambito. C’è infatti la rigidità dei testi e degli apparati liturgici; c’è la difficoltà per sacerdoti non più giovani di migliorare lo stile omiletico; c’è sovente chi si presenta all’ambone ma legge male o troppo velocemente. Certo si possono operare opportune attualizzazioni delle “preghiere dei fedeli”; si possono adottare canti di qualità che dispongano l’animo dei presenti alla gioia comunitaria, allo stupore per il mistero e all’adorazione.
Quindi ben vengano i suggerimenti e le sperimentazioni per rendere sempre più comprensibili i linguaggi,anche attraverso un coraggioso e largo impiego delle moderne possibilità comunicative. Ma prima del COME è fondamentale la chiarezza sul CHE COSA si vuole dire. Ogni incertezza, ogni ambiguità, ogni incoerenza sul piano concettuale mina inesorabilmente la credibilità stessa del messaggio.
La diversità stridente, fra talune innovative impostazioni teologiche da un lato, e dall’altro sia la prassi vigente delle orazioni e delle devozioni, sia le “verità” tuttora non smentite dal magistero, provoca disagio fra gli operatori pastorali e sconcerto fra i fedeli. Se si hanno, fra i Pastori, idee confuse e comportamenti addirittura opposti, è arduo farsi capire e ancor più essere attrattivi.
Gli intellettuali cattolici di ESSEREqui nel saggio “Il gregge smarrito” osservano: “Una Chiesa abituata a ragionare con schemi moralistici, sia che si tratti di un moralismo antico di tipo sessuale, sia che si tratti di un moralismo moderno ecologico e sociale, non è pronta a reagire a fenomeni imprevedibili, per quanto fortemente storici e reali.” Affrontare a livello ecclesiale il problema della crisi culturale e dottrinale degli ultimi decenni, il tema cioè del CHE COSA siamo, crediamo e vogliamo annunciare, con una più lungimirante capacità di discernimento, è dunque un’esigenza fondamentale del tempo presente.
Lo schema teologico-istituzionale “tridentino” è superato, ma la post-conciliare traversata del deserto non può durare troppo a lungo.
Pier Giuseppe Levoni