In questi mesi di inconsueta siccità qualcuno si pone la domanda. Spesso scherzosamente, perché la nostra mentalità scientifica corre più spontaneamente a una risposta tecnica piuttosto che a un intervento soprannaturale. Per tanto tempo a Carpi in tempo di siccità prolungata si invocava san Valeriano e si portava in processione la sua reliquia nel prezioso reliquiario, che tuttora troneggia in cattedrale. Mentre cinquant’anni fa il nostro vescovo “ordinava” presto la preghiera per la pioggia, quindici giorni or sono il vescovo Erio ha ”permesso” la stessa invocazione.
Perché chiedere a Dio che piova, quando il cielo rimane ostinatamente asciutto? Ce lo insegna Gesù, quando a Cana cambiò l’acqua in vino per persone che certo non morivano di sete (Gv “,1-10). Si può sempre chiedere, perfino quando sembra non necessario.
C’è però un motivo più profondo per chiedere a Dio la pioggia e quant’altro, sia quando scarseggia, sia quando già basta. Anche questo ci ha insegnato Gesù nel Padre nostro. “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”: lo diciamo sempre, pur sapendo che lo comperiamo dal fornaio. Riconosciamo così che ogni cosa buona nel mondo ci viene dalla benevolenza di Dio. Per mezzo di Cristo “tu, o Dio, doni al mondo ogni bene”, recita il rito della messa (Pregh. Euc. IV). Questo riconoscimento ci ricorda il primo articolo del Credo: “credo in Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e dalla terra, di tutte le cose visibili e invisibili”. Tutto ciò che esiste continua a scaturire dalla benevolenza e dall’intelligenza di Dio. Essa si è espressa con l’iniziale creazione dal nulla e continua con il sostegno al cosmo e alle forze e alle leggi che gli sono interne e proprie.
Domandare il pane, la pioggia, la salute significa sempre riconoscere la signoria di Dio sul e nel mondo. Non gli possiamo imporre un miracolo, come i farisei del vangelo (Mc 8,11s) o personaggi come Ernest Rénan o Benito Mussolini prima maniera. Però con garbo e buon senso possiamo sempre auspicare una sua “sorpresa”.
Carlo Truzzi