Non sono pochi quelli che accusano papa Francesco di non aver preso le distanze dal presidente russo in modo netto fin dall’inizio della guerra. Secondo me, dimostrano di non aver compreso gli interventi e la posizione del Papa. Per capire è necessario tenere presenti due aspetti:
- il Papa è un pastore, per il quale non esistono buoni e cattivi, ossia persone che devono essere giudicate, ma persone che hanno bisogno di essere liberate dal male che li affligge. Nel caso concreto, è necessario fermare la guerra, promossa o subita, con tutti gli effetti che essa produce. Qui si addice perfettamente la definizione di chiesa, come ospedale da campo, coniata da papa Francesco fin dall’inizio del suo pontificato.
- La guerra è un male che deve essere interrotto il più presto possibile e chi vi è estraneo deve fare il possibile per dividere i contendenti.
Il primo aspetto è stato sottolineato dal Papa stesso nel lungo colloquio telefonico con il Patriarca di Mosca, Kiril. In estrema sintesi, Francesco ha detto molto chiaramente a Kiril che il discorso di un Pastore deve rimanere svincolato dalla politica.Non può essere un discorso che divide i propri fedeli in gruppi contrapposti. I nazionalismi non dovrebbero mai dividere la Chiesa.
Il secondo aspetto è stato chiarito molto bene dall’arcivescovo Giovanni Ricchiuti, presidente di Pax Christi, in una intervista a Il Fatto Quotidiano, il 4 aprile scorso.
“Non c’è dubbio – dice il vescovo – che c’è un aggressore e un aggredito. Su questo non ci piove. Nessuno, men che meno il Pontefice e la Santa Sede, sta dicendo che Putin non sia l’aggressore e nessuno sta negando che Zelenskyi sia l’aggredito. Però tra i due popoli, tra i due capi di Stato, ci sarebbe voluta una forza di intermediazione o interposizione non violenta, non armata, anzi disarmante, nel dire all’uno fai tacere le armi e all’altro non rispondere con le armi. È come quando ci interponiamo tra due litiganti. Che cosa diciamo a chi ha prodotto la lite? Fermati, calma con le parole e non alzare le mani. E all’aggredito cosa diciamo? Calma, parliamo; ma certo non gli do l’arma, né della parola, né quella concreta. Io credo che questo sia ciò che manca oggi: la mediazione. L’Europa è già stata tagliata fuori. Politologi molto più esperti di me stanno parlando del fallimento dell’Europa che non è capace oggi di dire ai due belligeranti, riconoscendo le responsabilità dell’uno e dell’altro, fermatevi, mettiamoci attorno a un tavolino e ragionate. Vi aiutiamo a ragionare”.
Per monsignor Ricchiuti la posizione della Chiesa sulla pace è sempre stata coerente. Basta leggere la Pacem in terris di san Giovanni XXIII, la dottrina sociale della Chiesa cattolica e le varie posizioni dei pontefici di questi ultimi decenni, da san Paolo VI a san Giovanni Paolo II a Benedetto XVI. Certamente di fronte a una aggressione c’è il dirtto alla difesa. Le armi, però, non sono l’unica difesa possibile. Gandhi, molto ammirato e poco imitato, potrebbe insegnarci qualcosa. Oggi è tanto difficile pensare con la logica della pace – dice papa Francesco. Si dovrebbe ascoltare il desiderio di pace della gente, lavorare per porre le basi di un dialogo sempre più allargato, dovrebbero esserci conferenze internazionali per la pace, dove sia centrale il tema del disarmo, con lo sguardo rivolto alle generazioni che verranno.
La Chiesa, a tutti i livelli – anche nella nostra diocesi – mostra la sua vera natura, non quando ambisce ad esercitare un potere, ma quando è medicina che contribuisce a guarire le tante malattie presenti nella società e riesce ad essere un segno che rivela agli occhi miopi del nostro mondo il vero destino dell’uomo.
Tommaso Cavazzuti