E’ la morte “oscena” anche a Carpi? Sempre più marginalizzata e ripugnante?
Come scrive F. Russo, “è in corso , attraverso vari procedimenti, una rimozione della morte”. Essa viene nascosta e tecnicizzata, visto anche che spesso non si muore in casa, ma all’ospedale, sottratti allo sguardo dei parenti e degli amici. Viene resa asettica dalla terminologia scientifica, che fa rientrare il ”decesso” all’interno di una procedura sanitaria. Viene negata nell’insignificanza di un cerimoniale spesso sbrigativo. Viene esorcizzata dalle immagini e dalle notizie che traboccano della morte altrui. Viene addomesticata da espressioni quali la “dolce morte”. La parola stessa morte è diluita in espressioni: ci ha lasciato, è venuto mancare, è deceduto, non c’è stato nulla d fare.
Attingendo anche dalla mia esperienza di prete e da alcune interviste a operatori, credo che Carpi entri nel mainstream, a parte qualche dettaglio. In un piccolo paese come Cortile frazione di Carpi, per esempio, la partecipazione al funerale di una persona settanta-ottantenne è molto ampia, diversamente che in città.
Statisticamente nel Comune di Carpi i morti nel 2023 furono 814 (11% sulla popolazione). Di essi 270 (33%) ebbero un funerale religioso, 544 (67%) un funerale non religioso, benchè più di una volta con esequie o “benedizione” in camera ardente. Un tempo questa seconda forma, allora minoritaria, veniva spesso motivata politicamente con l’appartenenza al Partito Comunista. E’ da notare che l’anno scorso ben 388 salme (48%) furono portate direttamente al crematorio senza riti pubblici. Degli 814 morti 55 sono stati sepolti in terra, 273 nei “tombini”. Le ceneri di 320 salme sono custodite nel territorio (cimitero, casa, “natura”) mentre non si hanno notizie delle restanti 166.
Già questi numeri dicono come la dimensione del commiato si sia molto ridotta per il tempo dedicato e per lo spazio. L’usanza di “portare il lutto” sembra del tutto svanita. Anche le Messe di suffragio si sono drasticamente ridotte come pure la recita del rosario per il defunto. E’ un rarità ormai l’intervento della banda musicale. La cura dei morti ora chiede meno tempo, meno spazio e minore impegno finanziario. Tutti elementi invece dilatati per le celebrazioni della “vita”: nascita, battesimo e sacramenti dei bambini, matrimonio, anniversari di nascita e di matrimonio, carriera.
E’ iniziato l’uso, francamente per me sgradevole, dell’avviso “a funerali avvenuti”, sembra intorno al 5%. Forse il 10% viene sepolto senza avviso o con avviso “social”. La partecipazione al rito funebre è piuttosto ristretta, eccetto che per le morti “premature” o di personaggi noti.
Tutto questo mi sembra possa riassumersi anche per Carpi in un tentativo di fuga o almeno di ripulsa di fronte alla morte, divenuta sempre più “oscena”, cioè da rimuovere dalla “scena” della vita. E’ un frutto anche dell’attuale crisi della religione. Lo conferma il fatto, osservato dagli operatori intervistati, che i non molti “credenti” appaiono meno disarmati di fronte alla morte di una persona cara, quando gli interrogativi si fanno più acuti. L’imbarazzo della maggioranza è confermato dalla scomparsa nell’uso comune delle parole morte, morto, ma anche delle parole contigue inferno, paradiso. Si preferisce: cielo, lassù, con gli angeli, dove si immagina una replicazione aumentata delle gioie terrestri.
L’intervento dei preti e dei diaconi è apprezzato per lo più. C’è difficoltà a volte per la pronuncia dei preti non italiani.
I nostri concittadini sono sempre più soli e disarmati di fronte al problema della morte. Ma è abbastanza forte ed estesa la voce della chiesa nell’assicurare la resurrezione dell’anima e del corpo e la vita di un mondo nuovo che verrà?
Carlo Truzzi