Non è peccato criticare

Sinodo della famiglia

“Non è peccato criticare il Papa qui! Non è peccato, si può fare.” Con queste parole il Pontefice invitava qualche giorno fa i Vescovi  italiani, riuniti per la consueta assemblea di primavera, a esprimere liberamente e apertamente le loro opinioni sull’attuale condizione della Chiesa. Si ponga attenzione al termine “qui” che indica la sede opportuna per un franco scambio di idee, evitando  piuttosto di criticare alle spalle, di mormorare e di diffondere nascostamente malumori e pettegolezzi. A livello diocesano e parrocchiale, per non dare spazio a questo malcostume spesso denunciato da Bergoglio e promuovere un proficuo dibattito, quali sono i luoghi da valorizzare? Possono essere vari ma sicuramente gli organismi di partecipazione occupano il primo posto, poiché rappresentano ed esprimono le variegate realtà ecclesiali presenti sul territorio. Se i Consigli diocesani e parrocchiali non vengono istituiti o sono condotti secondo logiche puramente burocratiche e dirigistiche, le contestazioni al vescovo o al parroco, lungi dall’essere evitate, trovano canali di espressione sotterranei e alla fine risultano solo  sfoghi deleteri, a volte pure ingiustificati o frutto di meri pregiudizi. Infatti la critica  sussurrata per lo più tende a porre l’accento sulle manchevolezze (scelte od omissioni) della “persona” e non sulla sostanza delle problematiche pastorali e sulle modalità  più  efficaci per affrontarle.

Nella medesima circostanza il Papa ha espresso con semplicità e concretezza tre sue forti preoccupazioni sulla prospettiva attuale delle diocesi italiane: la carenza sempre più pronunciata di sacerdoti, che sollecita  fra esse una generosa collaborazione; la necessità di uno stile pastorale improntato alla povertà evangelica e alla trasparenza nella gestione del denaro e dei beni; l’urgenza di accorpare le diocesi la cui dimensione  per territorio, popolazione e dotazione di clero e di opere, non sia idonea “a sostenere un’organizzazione diocesana veramente funzionale e a sviluppare un’attività pastorale efficace ed unitaria”. Una questione  che si trascina da cinquant’anni.

 A ben vedere la prima e la terza preoccupazione del Papa sono strettamente correlate. Se infatti per l’immediato si può in parte rimediare al relativo vuoto dei seminari con l’aiuto di diocesi italiane  meno sofferenti sotto questo aspetto ( più discutibile il massiccio ricorso a personale di zone ancora terra di missio ad gentes), a lungo termine la soluzione non può risiedere che nell’adeguamento delle circoscrizioni diocesane, secondo lungimiranti criteri di aggregazione che consentano il miglior impiego delle risorse. 

Circa la necessità per i Vescovi di adottare uno stile evangelicamente povero, papa Francesco è stato perentorio: “Chi crede non può parlare di povertà e vivere come un faraone”, fornendo una palese controtestimonianza. Un appello alla coerenza che, sappiamo, qualche Vescovo  ha già accolto anche nella nostra regione. Altrettanto severo il monito ad essere trasparenti nell’utilizzo del denaro e dei beni della Chiesa: “Noi abbiamo il dovere di gestire con esemplarità, attraverso regole chiare e comuni, ciò per cui daremo conto un giorno al padrone della vigna”. Come ognuno può capire una siffatta linea pastorale mal si concilia con una modalità operativa monocratica.

La riflessione su queste serie preoccupazioni di Papa Francesco coinvolge in primo luogo i Vescovi, che hanno ascoltato quel giorno le sue parole, ma merita non minore impegno da parte dei sacerdoti e di tutto il Popolo di Dio. Se ne discuta dunque  con sensus ecclesiale ma senza timori reverenziali, a Nuoro come a Udine, ad Andria come a Carpi. Anche se ciò può implicare l’espressione di qualche critica. Non è peccato, ci assicura Chi ha l’autorità per dirlo.

Pier Giuseppe Levoni