La traduzione del Padre Nostro che useremo tra non molto introduce una variante: non abbandonarci alla tentazione. Il testo originale, uguale nei tre autori che lo danno, cioè Mt 6,13;Lc 11,4; Didachè 8,2, è il seguente: kai me eisenènkes hemàs eis peirasmòn. Le parole critiche sono due peirasmòn e eisenènkes, congiuntivo aoristo 2 con valore imperativo. Peirasmòs significa tentazione, prova, potremmo anche dire test. Il verbo significa portare dentro, sia materialmente (Lc 5,18.19: il paralitico davanti a Gesù), sia in senso traslato (At 17,20: cose strane portate ai nostri orecchi). Mentre il verbo indica una oggettività, il sostantivo comporta anche una intenzionalità. Il serpente ne aveva una malvagia nei confronti di Eva ( Gn 3,1-5); il Signore una buona nei confronti di Abramo suo amico (Gn 22,1: sacrificio di Isacco). Anche Gesù “fu messo alla prova” (Eb 2,18;4,15) dal Padre. Chiese, se possibile, di essere liberato dal “calice” della morte e fu esaudito… dopo la sua morte con la resurrezione, dopo aver accettato la volontà paterna. “Padre, tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non quello che voglio io, ma quello che vuoi tu” (Mc 14,36). Pertanto, non chiedendo in modo assoluto di essere esonerati dalla prova, inevitabile e sgradevole, domandiamo positivamente in modo assoluto di essere portati nell’area del bene e della vita: liberaci dal male.
Quando gli studenti chiedono all’insegnante di non fare il compito in classe, chiedono certo che non ci sia. Sapendo però che alla fine ci dovrà essere, esprimono il sentimento che non rinunceranno mai a che l’insegnante sia benevolo.
Per questo motivo ritengo migliore la traduzione di Piero Stefani (Il Regno 18/2018,p. 530): Non farci entrare nella tentazione, piuttosto che. Non abbandonarci alla tentazione. Il verbo abbandonare indica un’azione di sospensione di attività, da parte di Dio, quasi dicessimo che “non ci molli”. Non chiediamo una sospensione, ma una attività in vista di una positiva azione di liberazione.
Quanto poi al vecchio non ci indurre è un calco del latino inducere, che non ha comunemente il suono poco gradevole dell’italiano attuale: “persuadere, muovere, spingere trascinare qualcuno a fare qualcosa” (Zingarelli 2019).
Carlo Truzzi