Nella chiesa da soli

Nella chiesa da soli

Riflessioni sul rapporto del Censis per il Sinodo

Ad aiutare il discernimento dei delegati all’assemblea sinodale ha provveduto una ricerca del Censis di Giuseppe De Rita che ha indagato la realtà della Chiesa contemporanea. A dispetto di molte analisi un po’ approssimative, il dato di coloro che si dichiarano cattolici è un lusinghiero 71,1%. Fra questi, il 15,3% si dichiara praticante, un 55,8% non praticante o saltuariamente praticante. Questo 55,8% è stato oggetto di valutazioni più approfondite da cui si ricava che, in merito all’abbandono di cattolici dichiarati dalla partecipazione ai momenti liturgici, “il principale motivo pare essere una forma di ‘individualismo religioso’. Più di metà di coloro che di fatto rimangono distanti dalla pratica regolare, dicono di farlo perché vivono interiormente  la fede”.

L’individualismo come tratto caratterizzante la società attuale non è una novità e, a dirla tutta, è un fenomeno che ha colpito molto di più istituzioni come partiti, sindacati e associazioni sociali in genere di quanto abbia interessato il cattolicesimo in Italia. Tutto sommato parrocchie e associazionismo cattolico rimangono ancora luoghi che sperimentano forme di partecipazione che altrove sono scomparse. E’ vero però che la tendenza a far da soli, a isolarsi è sempre di più la norma che l’eccezione. L’abbandono delle tradizionali forme di aggregazione ci ha condotti a una società fatta di satelliti che non riescono a comporsi in un sistema unitario, armonioso.  Monadi che riescono a socializzare solo nella realtà virtuale, una realtà in cui ci si propone senza la ricchezza dell’interazione fisica, in presenza, ma in modi, quelli propri dei social, studiatissimi, in una spirale di narcisismo che stordisce. I dati riguardanti questo fenomeno sono tanti, ne aggiungiamo uno che ci ha colpito: nella città di Milano, metà delle famiglie è composta da una sola persona! E’ forse uno scenario come questo che ha indotto il vescovo Castellucci a scrivere nella sua ultima lettera pastorale di un “desiderio diffuso di una Chiesa più familiare e accogliente, più semplice e leggera, più concentrata sulle relazioni e meno sui programmi, più sui volti e meno sulle strutture, più sulla parola di Dio e meno sulle strutture umane”. Era difficile, dunque, che le realtà ecclesiali rimanessero estranee a questo fenomeno, al far da soli, al rinunciare all’esperienza del “noi”. Resta però il fatto che la ricerca del Censis ci dice anche qualcosa che rende meno cupo l’orizzonte: si va poco in chiesa ma non è vero che non si prega, lo si fa ma da soli, “interiormente” appunto. I dati che propone sono di rilievo: il 66% degli italiani dichiara di “pregare” o comunque di rivolgersi a Dio. Lo farebbe anche il 65,6% dei non praticanti e addirittura l’11,5% dei non credenti! Sono elementi questi che smentiscono l’idea di una eclissi della spiritualità. Se per spiritualità si intende il bisogno di indagare il senso della propria esistenza e della realtà in cui si vive, il materialismo assoluto che è proprio del mondo scientifico oggi, non è il quadro all’interno del quale le riflessioni dei più trovano le loro risposte. E, se torniamo a quel 71,1% di persone che si dichiarano cattoliche, la gran parte, queste risposte, le trova all’interno del messaggio di Gesù e della realtà che lo veicola, la Chiesa. La spiritualità è tutt’altro che estranea all’esperienza quotidiana di molti. Se tanti il maggior alimento lo trovano nell’esperienza di lettura di un romanzo, di poesie, nell’ascolto della musica e altro non sono pochi  quelli che si affidano a momenti di raccoglimento personale, stando ai dati. Sul pregare, nei vangeli troviamo sia l’elogio della preghiera individuale, “tu invece quando preghi entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà” Mt 6,6; ma anche ” se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” Mt 18,19-20. Insomma, preghiera individuale e comunitaria si sommano e non si elidono. Riassumendo. Il Censis ci dice che una sostanziosa maggioranza di italiani si dichiara cattolica. Fra questi solo una minoranza accompagna la fede con la frequenza alla liturgia domenicale, ma ciò non indica un calo della pratica del pregare che è parte della vita di una larga maggioranza ma in modo personale, privato, “interiore”. Si prega anche tanto ma da soli. C’è come una barriera, un pudore a condividere i propri momenti di spiritualità. La vita cristiana non può rinunciare alla preghiera individuale ma resta monca se non è accompagnata dalla partecipazione ai momenti della preghiera liturgica in comunità. 

   Il rischio è che il cristianesimo si trasformi in una “psicologia della consolazione” e null’altro come avverte il teologo Johann Baptist Metz. Un fede tutta introversione, al servizio esclusivo dei bisogni esistenziali del singolo. Francamente non sappiamo cosa possa invertire la rotta di questa che proviamo a chiamare “la polverizzazione delle appartenenze” e che, come abbiamo visto, riguarda tutta la società e non solo le chiese. 

   In generale non ci possiamo che augurare un superamento di questa tendenza. Osiamo pensare che prima o poi il piacere della condivisione e socializzazione di momenti ed esperienze torni ad arricchire la vite di ognuno di noi. 

Ci permettiamo solo di chiudere con un’acuta riflessione del filosofo inglese vivente Anthony Kenny, sulla ragionevolezza del pregare. Dice Kenny: così come riteniamo del tutto razionale che un uomo perso in una foresta lanci grida, chieda aiuto, anche senza sapere che da qualche parte ci sia qualcuno pronto ad ascoltarlo e a salvarlo, così, per noi che siamo dispersi in questo immenso universo su un piccolo puntolino blu che è la terra, è pienamente sensato con la preghiera chiedere a un Dio sostegno e salvezza. E questo vale anche per chi, gli agnostici, sono perplessi sull’esistenza o meno di Dio, sono nella situazione di colui che, disperso, cerca aiuto senza avere la certezza di essere ascoltato.

  Pregare è un atto razionale, da fare da soli ma anche insieme. 

                                                                                                   Mario Lugli