Non si può più ignorare un fenomeno allarmante che riguarda la violenza domestica ed ogni tipologia di violenza perpetuata sul genere femminile, ovvero il femminicidio. Tale termine è stato usato dalla criminologa Diana Russell che nel 1992 lo identificò come una nuova categoria criminologica: la violenza estrema esercitata da parte dell’uomo contro la donna, “in quanto donna”. Persino Papa Francesco in occasione del suo viaggio in Perù nel gennaio 2018 ha affermato che “non è lecito naturalizzare la violenza sulle donne, sostenendo una cultura maschilista che rifiuta il protagonismo della donna all’interno della comunità”.
Ma non sono le donne le uniche vittime del fenomeno: molto spesso anche i bambini, i figli delle vittime e dei loro stessi padri, diventano spettatori involontari, vere e proprie vittime di “violenza assistita” (così viene chiamata la violenza che subiscono i minori in ambito familiare). Essi infatti vengono esposti a importanti rischi e possono sviluppare esiti post-traumatici, come stati di ansia, depressione e senso di colpa: le vittime si ritengono paradossalmente causa della violenza, o “risparmiati” ed impotenti di fronte alla violenza esercitata sui congiunti.
Dal 2000 ad oggi sono oltre 1600 i figli delle donne uccise dal partner, costretti a vivere nel dolore tra innumerevoli difficoltà economiche e socio-assistenziali. I numeri di questi “orfani due volte” sono drammaticamente in crescita. Sino ad ora la “violenza assistita” non è stata sempre riconosciuta come tale nelle aule dei tribunali con azioni adeguate ai bisogni psicologici dei minori.
Recentemente la Camera ha approvato la legge 11 gennaio 2018 n. 4 “Modifiche al codice civile, al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in favore degli orfani per crimini domestici”, con la quale, per la prima volta, vengono presi in considerazione i diritti degli orfani di femminicidio. Al fine di attuare attività di divulgazione della nuova normativa si sono già attivate a livello territoriale specifiche associazioni (vedi l’Ass.ne Gruppo Donne e Giustizia di Modena). Occorre ancora chiedersi come aiutare gli uomini a non rivendicare un’affermazione possessiva sulle donne, basata sull’uso della forza fisica. Alcuni percorsi sperimentali territoriali (“Centro LDV – Liberiamoci dalla violenza”, attivato dall’Ausl di Modena dal 2011), tendono ad andare in questa direzione. Significativa è l’esperienza maturata negli anni dall’associazionismo cattolico, in particolare dal C.I.F., nella gestione dei Centri Antiviolenza e Centri di Ascolto anche grazie al Coordinamento Nazionale: “Prevenzione, sensibilizzazione e contrasto alla violenza sulle donne”. La collaborazione, il confronto e lo scambio di buone prassi con altre associazioni può generare non soltanto azioni di primario supporto alle vittime ma ulteriori molteplici approcci: dalle proposte educative nelle scuole, ai messaggi divulgati ed agli incontri pubblici di sensibilizzazione culturale e sociale sul tema. In tale modo si potrà accedere ad una visione di reciprocità uomo-donna, “convertendoci” alla Differenza come dono ed all’armonia tra natura e cultura.
Nadia Lodi – Coordinamento Antiviolenza C.I.F.Nazionale