Di recente, durante il Festival della Filosofia, un pubblico numeroso ha assistito in piazza Martiri a una conferenza del professor Galimberti, il quale si è scagliato con veemenza contro i medici obiettori di coscienza, a suo dire, colpevoli di non rispettare le leggi dello Stato.
Il problema non può essere liquidato con slogan superficiali. Infatti per poter riconoscere il diritto all’obiezione di coscienza, è necessario riflettere su due dati: a) la natura dell’uomo in quanto soggetto, di cui la coscienza morale è la massima espressione , e b) la superiorità della persona nei confronti dello Stato.
L’atto morale è l’espressione di un agire cosciente, libero e responsabile. E’ esclusivo di un soggetto dotato di coscienza. A questo proposito dobbiamo riconoscere che la grandezza dell’uomo non sta principalmente nella sua intelligenza e neppure nella sua capacità creativa. La vera grandezza dell’uomo sta nella sua coscienza, in virtù della quale – l’uomo si possiede e si appartiene; – è fine a sé stesso e, quindi, è un valore assoluto, mai strumentalizzabile; – è capace di progettare la propria esistenza e in un certo senso è creatore di sé; – è capace di comunicare con sè stesso e con gli altri e per questo può entrare in rapporto di comunione con quell’Assoluto personale che è Dio.
Quando si comprende la vera natura dell’uomo, si comprende anche che il diritto alla obiezione di coscienza nei confronti di certi imperativi dello Stato è un diritto sacrosanto.Contrariare in modo esplicito e diretto la coscienza di una persona equivale a negarla in quanto persona. Significa distruggerla in quello che ha di più sacro. Lo Stato deve essere sempre a servizio dell’uomo; e non viceversa. Lo Stato, con il suo potere, è indispensabile in una società organizzata, ma non può mai considerarsi superiore alle persone alle quali deve servire. Quando non ha rispettato questo, è caduto in quelle forme di statolatria, che hanno costituito le peggiori tragedie del secolo scorso: fascismo, nazismo, stalinismo. Non è male dimenticarlo, perché anche oggi emergono episodi che ne sono una eco molto triste.
Detto questo occorre fare due osservazioni. Primo, l’obiezione di coscienza può nascere da una coscienza sbagliata, riconoscendo non ammissibile un atto sotto certi aspetti accettabile. In questo caso, lo Stato, attraverso i suoi organi competenti può cercare di illuminare la persona e farla riflettere; mai, però, usando forme di coercizione. Lo Stato può ricorrere alla forza solo per impedire che qualcuno faccia del male a terzi, riservando a sé il diritto alla legittima difesa, che in una società civile non può essere lasciata al singolo cittadino.
La seconda osservazione risponde a una domanda molto delicata. Sappiamo che, per esempio nel caso dell’aborto, ci sono condizioni in cui è moralmente lecito: quando decorre da un intervento necessario per salvare la madre. Allora ci si può chiedere: a chi spetta il giudizio sulla moralità dell’intervento? Spetta alla donna, a un organo dello Stato o al medico? E il rischio di vita, o di gravi danni, si riferisce solo alla salute fisica o anche a quella psichica? In una situazione del genere, in cui il dubbio può essere plausibile, un medico cattolico e obiettore può ritenersi in diritto di praticare l’aborto, pur ritenendolo immorale? Sono domande che devono essere considerate seriamente. D’altra parte, la legge italiana sulla interruzione della gravidanza, le suppone e ad esse risponde positivamente. Io ritengo che, pur rispondendo positivamente all’ultima domanda che ho formulato, il medico obiettore ha il diritto e il dovere di rispondere anzitutto alla propria coscienza e, quindi, ha il diritto anche di rifiutarsi.
Tommaso Cavazzuti