Le due forme della carità

Le due forme della carità

Non solo quella corporale

Condizionati comprensibilmente dalle urgenze del primum vivere, dalle immagini di senza tetto che dormono nelle stazioni ferroviarie, e di mense affollate da chi non ha di che sfamarsi, rischiamo di dimenticare che non di solo pane vivela persona; rischiamo di trascurare proprio quell’aspetto che caratterizza in modo unico nell’intero creato l’essere umano, e per il quale fu fatto a immagine e somiglianza di Dio

Anima, spirito? Comunque lo si definisca, si tratta dell’elemento sottovalutando il quale si finisce, pur senza volerlo, per cedere ad una visione materialistica della vita. Quindi, sacrosanto è ogni impegno per sovvenire alle necessità di cibo, di casa, di cura della salute per tanti che soffrono per queste ragioni qui e nell’intero mondo. Ma esiste anche la carità della verità, non meno decisiva per salvaguardare e promuovere la stessa dignità e il destino della persona umana.

Questa carità è rivolta alle esigenze della mente, all’intelletto. Offre certezze ad un mondo pieno di dubbi. Porta chiarezza in un contesto nebuloso. Porta luce in una società che vive nel buio dell’indifferenza, dell’ingiustizia, della violenza. Offre risposte ad una generazione inquieta.

Senza scomodare i due elenchi delle  sette opere di misericordia corporale e spirituale, raccomandate dalla tradizionale “dottrina” cristiana, ma pure menzionate al n.2447 del più recente  “Catechismo della Chiesa Cattolica” (2017), possiamo individuare agevolmente le forme di impegno che da sempre hanno contraddistinto l’agire dell’istituzione ecclesiastica, degli ordini religiosi e delle associazioni laicali nel settore formativo e culturale. Dalla catechesi di iniziazione e per gli adulti alla gestione di innumerevoli scuole e università, dalla pubblicazione di riviste e di libri alla promozione di eventi e spettacoli, dalle iniziative nel settore dei  moderni mezzi audiovisivi  a quelle nel digitale: possiamo valutare quanto i cattolici abbiano contribuito in passato ad arricchire qualitativamente la realtà sociale con uno specifico apporto ispirato ai valori evangelici.

Oggi però, più di ieri, sembra determinarsi un certo squilibrio nell’impegno sulle due citate forme di carità, soprattutto per due fattori. Da un lato assistiamo alla giusta enfasi quotidiana prevalentemente posta sulle problematiche della povertà materiale, ben espresse dall’icona di una Chiesa “ospedale da campo” che si prende cura degli “scartati” dall’ingiustizia e dall’insensibilità sociale, in un contesto mondiale segnato dalle diseguaglianze e dalla guerra. Dall’altro registriamo la difficoltà e la cautela a “proporre” con chiarezza e senza sconti, a parole ma ancor più con gesti esemplari, la visione cristiana del mondo, dell’uomo e del suo destino eterno, nonché di quei valori della dottrina sociale della Chiesa che risultano meno condivisibili da una società secolarizzata e postmoderna. Una società in apparenza “liquida”, ma in realtà dominata da una distorta logica dei diritti individuali assolutizzati; in altri termini, dalla biblica tentazione di “diventare come Dio”.

Ce lo ricorda papa Francesco nell’Evangelii Gaudium: “Nella cultura dominante, il primo posto è occupato da ciò che è esteriore, immediato, visibile, veloce, superficiale, provvisorio. In molti Paesi, la globalizzazione ha comportato un accelerato deterioramento delle radici culturali con l’invasione di tendenze appartenenti ad altre culture, economicamente sviluppate ma eticamente indebolite.” (n.62)

In quest’ottica a noi sembra perciò urgente non sottovalutare la dimensione spirituale della carità. Ad esempio, sul piano diocesano, sembra fondamentale integrare la già estesa e benemerita azione formativa tradizionale con una “struttura collegiale” apposita di coordinamento, analoga alla Caritas sull’altro versante,  che programmi, stimoli, proponga, analizzi e verifichi qualità  ed esiti di quanto si fa in  questo ambito. Il suo compito strategico: colmare lacune, correggere  impostazioni inadeguate, meglio utilizzare strumenti e risorse. Potrebbe qualificarsi come Segretariato per la Cultura e la Comunicazione, composto da presbiteri e laici scelti dal Vescovo, e presieduto da un Vicario episcopale.

 Tommaso Cavazzuti e Pier Giuseppe  Levoni