Il volumetto di Don Erio Castellucci sulla povertà (Benedetta povertà? Provocazioni su chiesa e denaro) merita una lettura attenta e meditata. Anzitutto distingue e descrive con molta chiarezza le varie forme di povertà. La povertà è benedetta quando “è scelta come stile di vita e si esprime nella condivisione, moltiplicando i beni”. E’ maledetta, invece, quando “è subita e propagata come frutto dell’ingiustizia e causa tanti drammi, sottraendo vita e dignità alle persone”. E poi c’è la povertà da riscattare, ossia la lotta per quella povertà che è segno di vera fraternità. Una lotta che, ispirata dal Vangelo, si propone di eliminare le strutture ingiuste della società.
Il nostro vescovo, però, non si limita a chiarire concetti, ma ci invita a fare come chiesa un serio esame di coscienza; e lo fa anche in prima persona. Le domande che pone, e si pone, sono importanti e non devono lasciarci indifferenti. Le risposte che dobbiamo dare non devono essere troppo affrettate. In questo campo, il correre in fretta spesso è uno scappar via. E a guidarci in questa fuga è la paura di venirci a trovare davanti a scelte che non vogliamo fare, perché ci scomodano.
Una questione che il vescovo pone a se stesso, tanto per dare un esempio, è questa: “Non è facile cercare uno stile di vita sobrio, e non è immediatamente credibile parlare di povertà, quando uno dimora, come il sottoscritto, in un palazzo del XV secolo, nel pieno centro storico di Modena, davanti allo stupendo Duomo medievale”.
Proprio l’esempio fatto dal nostro vescovo mi riporta alla memoria un’idea che da più di 30 anni esprimo invano ogni volta che è nominato un nuovo vescovo di Carpi: Perché non si vende il “palazzo” del vescovado e si trasferisce tutto nel vastissimo edificio, antica sede del Seminario, in Corso Fanti? Vi troverebbe sede la residenza del vescovo (che in questo modo non avrebbe bisogno di persone di servizio), il personale della Curia e quegli enti che fanno capo alle varie attività pastorali. Diverrebbe il vero centro pastorale della Diocesi! Sarebbe anche un modo di valorizzare un edificio di grande valore storico ed ecclesiale (la sua costruzione fu iniziata nel 1622, per desiderio di san Bernardino Realino, e per 150 anni è stata la sede del Collegio dei Gesuiti, l’istituzione educativa più importante di quel periodo).
Nel lanciare questa idea, vorrei invitare tutti (non solo i preti) a pensarci con lungimiranza, tanto più dopo l’ormai evidente intenzione di Roma di non mandare più qualcuno che ci abiti. E vorrei anche approfittare di questa circostanza per invitare il nuovo economo della diocesi a pubblicare con totale trasparenza il patrimonio di cui dispone la chiesa di Carpi, quali sono le sue entrate e come, anno per anno, sono spese. Ma a parlare di questo vorrei fosse uno più competente di me.
Tommaso Cavazzuti