Siamo ormai assuefatti a lavori su edifici pubblici che durano un tempo così indefinito da sfiorare l’infinito. Molti di noi accolgono questa provvisorietà con una rassegnazione zen, certi di trovarsi davanti a una rappresentazione burocratica dell’ordine naturale delle cose. Perciò, quando un’opera pubblica termina davvero, come per esempio il restauro del Torrione degli Spagnoli, restiamo quasi sorpresi, chiedendoci come sia stato possibile che in un paio di anni (per di più in piena pandemia), siano stati appaltati ed eseguiti i lavori di quella che si può considerare per Carpi una “grande opera”.
Il Torrione (ma anche la Cattedrale) stanno lì a testimoniare che è possibile coniugare le esigenze del committente con quelle degli altri mille Enti e professionisti coinvolti nell’impresa, spesso titanica, di portare a casa il risultato.
Questi successi, tuttavia, scuotono le nostre certezze, che si fondano sulla imponderabilità dei processi decisionali e sul loro inevitabile impantanarsi in pastoie tecniche e in paludi legislative. E ci pongono altre domande. Se il Torrione e la Cattedrale ce l’hanno fatta, chi o che cosa frena e ostacola il raggiungimento dell’obiettivo per altri edifici, in particolare per le chiese danneggiate dal terremoto di quasi dieci anni fa?
Gli interventi di consolidamento antisismico di San Nicolò, di proprietà comunale, sono ai nastri di partenza, ma tutto tace e nulla si muove per la vicina e bellissima San Francesco. Mette una gran tristezza vederla lì nel cuore della Carpi della movida circondata da transenne e con l’erba incolta che cresce tra i sampietrini come una vecchia casa colonica pericolante.
E che dire delle malmesse chiese di Budrione e di Migliarina o della chiesa del cimitero di Fossoli trasformata in una specie di opera d’arte contemporanea composta da centinaia di tubi Innocenti?
Anche nella Bassa, specialmente nelle frazioni, sono tante le chiese in attesa di restauro sulle quali è calato il silenzio. Un oblio che non si sa come interpretare. Permessi che non arrivano? Mancanza di soldi? Progetti rigettati? Ditte appaltatrici fallite? O forse un’idea diversa di organizzazione diocesana per cui in futuro si pensa di aggregare i fedeli in parrocchie più grandi e in numero ridotto?
In attesa di sapere come stanno veramente le cose, ogni ipotesi è valida.
Saverio Catellani