Sulla fine della diocesi di Carpi
Nel Cantone svizzero di San Gallo c’è un iter speciale che dura tre mesi per la nomina del vescovo. A gestire il processo è il Capitolo della Cattedrale composto da 13 preti. I gruppi, le parrocchie e le comunità della Diocesi hanno tre settimane di tempo per dire, con un questionario, le loro aspettative nei confronti del nuovo vescovo e i tratti che ritengono importanti perché la nuova guida sia all’altezza delle attese. Terminato il tempo di consultazione, l’istituto sociologico pastorale sintetizza e pubblica le risposte ricevute. Su questa base il Capitolo della Diocesi stila un elenco di sei candidati tra i sacerdoti della Diocesi, elenco che viene inviato a Roma per essere vagliato. Poi il Capitolo sceglie il giorno delle elezioni e vota.
È un sistema interessante, perché una delle crisi che viviamo nella Chiesa (e non solo) è quella della partecipazione. A Carpi come nel resto d’Europa. Qualcuno si è stupito del silenzio con cui la stragrande maggioranza dei fedeli carpigiani (per non dire la totalità) ha accompagnato la notizia della fine della storia pluricentenaria della Diocesi di Carpi. Un silenzio che potrebbe essere pure letto con un’accezione positiva se si trattasse della condivisione di una scelta, ma temo invece che si tratti di un sostanziale… chissenefrega. Certo, qualche mugugno in privato ci sarà stato, ci saranno stati sospiri rassegnati, ma nessuna esposizione pubblica di dissenso, nessun tentativo organizzato, per quanto illusorio, di invertire una rotta tracciata con le dimissioni del vescovo Cavina. Non un sussulto nemmeno da parte delle frange dei tradizionalisti, sempre pronte a mobilitarsi in rosari riparatori contro mostre d’arte. Come se la fine della diocesi riguardasse soltanto i pochi preti rimasti e non la comunità cristiana nel suo insieme. D’altro canto, quando gli organismi di coinvolgimento dei laici alla vita della diocesi non esistono o, se ci sono, non vengono convocati o sono pletorici, non c’è da meravigliarsi che l’esito sia la disaffezione e l’indifferenza. Un percorso che abbiamo visto anche con la politica. Da quando i partiti si sono accordati, da destra a sinistra, per togliere agli elettori il diritto di scelta dei loro rappresentanti in Parlamento eliminando le preferenze, è crollata la partecipazione al voto e alla vita politica in generale.
Che cosa ci insegna dunque il sistema di San Gallo? Che i “non possumus” e le scuse accampate di volta in volta dalla gerarchia per non cambiare nulla e continuare a fare come si è sempre fatto non stanno in piedi, che volere è potere, che il diritto canonico non è inciso sulle Tavole della Legge, che la partecipazione effettiva, decisionale, dei laici (e non soltanto il loro apporto coreografico) è la condizione indispensabile per la sopravvivenza della Chiesa stessa.
Saverio Catellani