Com’è noto, per la chiesa cattolica italiana si è aperto, un anno fa, un cammino sinodale, come l’hanno definito i vescovi nella loro Assemblea del maggio 2021. Un’occasione preziosa, da cogliere al volo e sfruttare appieno, che ha bisogno da parte di tutti di grande pazienza, grande capacità di ascolto e grande umiltà. Imparare ad agire sinodalmente, da parte dei laici, dei presbiteri, dei vescovi, non è per nulla facile (il che vale anche per la diocesi di Carpi, naturalmente), soprattutto per la disabitudine di tutte le componenti, al riguardo. “L’avvenimento ecclesiale più importante e strategico dopo il concilio Vaticano II”, l’ha definito il teologo Piero Coda. Papa Francesco, che tanto ha insistito con la chiesa italiana perché lo mettesse in agenda, lo considera decisivo per la vita e per la missione dei cristiani: “proprio il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio”. La posta in gioco, in effetti, è davvero alta.
Tuttavia, con l’eccezione – quasi ovvia – del lavoro prodotto dalla diocesi di Pinerolo (che comprende le Valli valdesi, culla del protestantesimo italiano), dagli esiti del primo anno di cammino sinodale non sono uscite particolari indicazioni di attenzione all’ecumenismo e al dialogo interreligioso. Nulla di strano, verrebbe da dire, se si tiene conto del ruolo relativo che tali ambiti ricoprono a livello delle nostre chiese locali, diocesi e parrocchie. Purtroppo, è un dato di fatto. Eppure, è importante sottolineare che il Sinodo, con l’ecumenismo e la dimensione interreligiosa, avrebbe molto a che fare. E alcune iniziative – cito, per fare un esempio, lo sforzo esemplare della piccola diocesi di Acqui Terme, ma non solo – in effetti ci sono state: ma una rondine, evidentemente, non fa primavera… Anche i materiali preparatori dei Cantieri di Betania, con cui i vescovi italiani hanno recentemente lanciato il secondo anno di Sinodo, pur di buona fattura dal mio punto di vista, non fanno riferimenti al tema in questione. Peraltro, vi si parla di tre cantieri delineati, ma anche di un quarto cantiere, che ogni chiesa locale avrà la possibilità di scegliere autonomamente, riempiendolo con un argomento che le stia particolarmente a cuore. Ecco: perché non immaginare che il quarto cantiere, qui a Carpi, sia proprio, finalmente, quello del dialogo ecumenico e interreligioso? Anche le ultime vicende mondiali, a partire dalla guerra in Ucraina, hanno riproposto, del resto, la necessità urgente di un maggiore investimento al riguardo. Una rete sul territorio è già presente e operante – dalle commissioni diocesane per il dialogo ai gruppi del SAE (Segretariato Attività Ecumeniche) – e potrebbe fare da collante e da stimolo. L’auspicio è risuonato durante la cinquantottesima Sessione di formazione ecumenica del SAE, svoltasi ad Assisi a fine luglio, avente per titolo uno slogan decisamente felice, che è lecito applicare anche al prosieguo del sinodo: In tempi oscuri, osare la speranza. Dove si è pregato, riflettuto e camminato insieme, fra cristiani di confessioni diverse. E durante la quale è toccato al vescovo di Pescia, Roberto Filippini, presentare, fra le testimonianze della speranza attuale, l’invito a tutte e tutti a un sempre maggiore impegno sul versante del dialogo ecumenico e interreligioso. Appunto.
Brunetto Salvarani