Il percorso Sinodale – Stimolante ma non facile

Il Percorso Sinodale

Dunque domenica 17 ottobre, nella nostra, come in ogni diocesi italiana, si avvierà il cammino sinodale, un itinerario di ascolto, di riflessione comunitaria e di proposta, che coinvolgerà, come vuole il Papa, parrocchie, associazioni, movimenti ecclesiali. Si tratta del primo atto di un percorso triennale che contemporaneamente mirerà al rinnovamento della Chiesa in Italia, contribuendo  pure all’impegno “universale” del Sinodo dei Vescovi previsto per l’autunno 1923.

Si lavorerà su uno schema predisposto che dovrebbe evitare astrattezze e dispersività, ma non ci si può illudere che l’impresa sia semplice. Perché? Le ragioni sono più d’una, a partire dall’esigenza di coniugare correttamente l’intenzione, oggi dichiarata, di “partire dal basso”, dal coinvolgimento del “Popolo di Dio”, con un realtà istituzionale, voluta da Cristo stesso, composta dal gregge e dai pastori, entità certo strettamente rapportabili, ma oggettivamente non collocabili sullo stesso piano.

In altri termini, come auspicava Padre Sorge, già al Convegno Ecclesiale del 1976,  sarebbe necessario superare in radice la divisione fra Chiesa istituzionale e Chiesa reale. Ora è evidente che si tratta di un processo di maturazione  da svolgere, in tempi non brevi, sia sul piano teologico che nella normativa del diritto canonico. Per risolvere il complesso problema quindi non bastano  i ricorrenti anatemi contro il clericalismo, o ammonire che non si devono confondere sinodalità e democrazia. La difficoltà ha una sua radicalità che non può essere banalizzata.

Si dirà: per quanto ci riguarda, basta far funzionare bene, in ambito locale, gli organismi di consultazione e di partecipazione, come i Consigli Pastorali, le Consulte e le Commissioni ad hoc. Su ciò occorrono due puntualizzazioni. Da un lato purtroppo l’esperienza insegna che la fecondità di tali istanze non è spesso di livello adeguato, per i metodi confusi o a scartamento ridotto della loro conduzione. Dall’altro va posto riguardo soprattutto alla loro  composizione. Su questo terreno infatti il criterio della rappresentanza, senza quello della competenza, non porta lontano. E ciò pone  la duplice questione del grado di preparazione della base clero-laicale, come dell’utilità di designare  membri esperti. Ad esempio gli 8 di scelta vescovile, come previsto dallo Statuto del nostro  Consiglio Pastorale Diocesano, tuttora non nominati.

E così torniamo al punto di partenza. In che misura una lettura non frettolosa dell’Evangelii Gaudium, il documento programmatico di papa Bergoglio, ha consentito al Popolo di Dio di comprendere, e  principalmente di condividere, l’urgenza di passare da una concezione di Chiesa madre e maestra (Giovanni XXIII)  a quella di ospedale da campo proposta dall’attuale pontefice? Si tratta di una domanda di fondo, viste le perplessità e le tensioni che attraversano il tessuto ecclesiale a livello globale, specialmente nell’Occidente europeo e nordamericano.

Sappiamo bene che sempre nella storia del cristianesimo sono coesistiti  punti di vista diversi e che l’assistenza dello Spirito ha consentito alla lunga di superarli in sintesi di progressiva purificazione evangelica. Appare comunque urgente, affinchè il camminare insieme non resti un suggestivo slogan, che l’approfondimento e il confronto culturale ad ogni livello nella Chiesa trovino spazi e risorse non inferiori  a quelli profusi nella carità materiale.  A partire da ogni parrocchia e ogni diocesi.

La vera sinodalità esige di condividere una visione di Chiesa, contemporaneamente se non prima di indossare il grembiule e lavare i piedi ai fratelli. 

Pier Giuseppe Levoni