Il Papa e i giovani

Il Papa e i giovani

“I catecheti impiegano tutte le loro energie a parlare di Cristo davanti a uditori che sbadigliano, perché non sono interessati a quanto si dice. I banchi delle chiese sono sempre più vuoti e occupati da persone dai capelli sempre più bianchi, tanto che si arriva a sopprimere delle parrocchie. Nell’insieme, tutta una generazione (quella che costituirà la carne delle società nei prossimi decenni) scivola lentamente non verso l’aggressività verso la chiesa, ma (ed è più grave) verso l’indifferenza”. L’analisi (realistica) del canadese Jean-Marie Roger Tillard, uno dei maggiori teologi della seconda metà del Novecento, contenuta in un libretto smilzo intitolato Siamo gli ultimi cristiani?, ha ormai vent’anni, ma solo di recente è stata valorizzata nella prospettiva strategica che offre. Se poi l’accostiamo a quella di Armando Matteo, che nel 2010 ha firmato La prima generazione incredula, il quadro si compone definitivamente: la chiesa cattolica (come quasi tutte le altre, a dire il vero), ha oggi un problema serio con chi si affaccia all’età adulta. Un problema che rischia seriamente di comprometterne il futuro. A differenza di altri periodi storici, come il postconcilio, quando abbondavano i giovani e giovanissimi che spesso contestavano le dinamiche ecclesiali anche aspramente perché sentivano tradita la loro ansia di rinnovamento (delle strutture, dei linguaggi, degli stili di vita), oggi – ci riferiscono le inchieste al riguardo – i Millennials e la Generazione Z si sentono più estranei che ostili alla Chiesa. Avvertono un profondo senso di lontananza da essa, che percepiscono come un’esperienza datata, portatrice di cultura e sensibilità sorpassate, che non sono la loro. Ciò che appare radicalmente messo in discussione, di fatto, è la capacità di chiese e comunità religiose di trasmettere la fede, anche se non è totalmente assente in loro, sempre stando agli studi più recenti, la ricerca spirituale né il bisogno di interrogarsi in proposito.

Ecco perché erano grandi le attese della XV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, annunciata da papa Francesco nell’autunno 2016 e tenutasi dal 3 al 28 ottobre 2018 sul tema I giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Il cui documento finale è una delle principali fonti dell’Esortazione apostolica postsinodale Christus vivit, datata Loreto 25 marzo 2019 e uscita nei primi giorni di aprile. Un testo piuttosto lungo (ben 299 paragrafi, dal sapore poco curiale e di chiara impronta pastorale, che raccoglie fra l’altro i contributi di un’ampia consultazione di ragazze e ragazzi. E dal quale emerge una preoccupazione duplice: da una parte, l’intento di rafforzare la credibilità dell’azione ecclesiale accanto alle generazioni più giovani, e dall’altra offrire loro una speranza il più concreta possibile, invitandole a vivere appieno la loro età. Da sottolineare il processo ecclesiale che l’ha generato, sinodale e poliedrico, figlio di numerose fonti, fra le quali spiccano i riferimenti a diverse occasioni di incontro fra Bergoglio e i giovani di tutto il mondo, documenti di vari episcopati e citazioni di autori, antichi e contemporanei. Sin dal suo avvio Christus vivit manifesta l’intenzione di aprire un dialogo con essi, alternando passaggi in cui Francesco si rivolge direttamente ai lettori e altri in cui ricorre al discorso indiretto. La sua intenzione non è di separare i giovani dal resto della Chiesa, ma piuttosto di rivolgersi – attraverso loro – a tutti i credenti cristiani, sottolineando come i primi siano chiamati, già oggi, a farsi protagonisti del nostro tempo e figure attive nella Chiesa, e non puro oggetto di discorsi che, tradizionalmente, calano paternalisticamente su loro dall’alto. 

Proviamo a dare una rapida occhiata alla struttura del documento: i nove capitoli che lo compongono si possono raggruppare in tre sezioni, richiamando la scansione dei passi del processo di discernimento – riconoscere, interpretare, scegliere – su cui già era stata articolata l’Assemblea sinodale. La sezione iniziale (cc. 1-3) riprende il lavoro di ascolto della realtà su cui si era soffermata l’Assemblea stessa, a partire dai materiali preparatori per un discernimento condiviso. L’idea è di cominciare dando spazio a quanto emerge nel momento in cui la Parola di Dio incontra i giovani e interagisce con le relazioni che essi tessono tra di loro, all’interno delle famiglie, delle comunità, della società. Solo così gli eventi vissuti potranno dischiudere il loro significato profondo e offrire stimoli a un discernimento che punti a riconoscere la volontà di Dio non in astratto, ma nella concretezza della storia e della quotidianità di quelli che vengono qui suggestivamente definiti, riprendendo un’espressione già usata alla recente GMG di Panama, l’adesso di Dio… Anche perché: “La gioventù non è un oggetto che può essere analizzato in termini astratti. In realtà, la gioventù non esiste, esistono i giovani con le loro vite concrete. Nel mondo di oggi, pieno di progressi, tante di queste vite sono esposte alla sofferenza e alla manipolazione” (n. 71). La sezione mediana (capp. 4-6) rappresenta il motore dell’intera esortazione, e spiega il suo titolo. Ai giovani, nelle circostanze concrete in cui si trovano, la Chiesa non possiede altro da offrire se non l’incontro con quel Dio vivo che essa continua a sperimentare come amore, mezzo di salvezza e fonte di vita, nella consapevolezza che sarà – auspicabilmente – tale incontro a dischiudere possibilità inedite di orientamento per la vita di ciascuno, cioè a diventare chiamata e vocazione (di qualsiasi vocazione si tratti). Scopo di tali capitoli è di far emergere quale sia il dinamismo in grado di mettere in moto una risposta autentica alla voglia di vita che la giovinezza porta in genere con sé e che il Signore non intende certo spegnere, o invece che cosa è un inganno che manipola e asservisce. La sezione conclusiva (cc. 7-9) punta poi all’individuazione delle prospettive di attuazione di quanto messo a fuoco in precedenza: sia i giovani sia le comunità ecclesiali sono richiamati a scelte che talvolta prevedono un prezzo caro. La capacità di inclusione è la chiave della proposta pastorale avanzata nel settimo capitolo, vincendo qualunque ossessione per la trasmissione delle verità dottrinali (n. 212). Le comunità cristiane sono qui invitate a offrire spazi di accoglienza senza frapporre troppe barriere, mentre alle stesse scuole cattoliche è chiesto di non trasformarsi in bunker a difesa dagli errori della cultura esterna, impermeabili al cambiamento (n. 221). Stimolanti sono i paragrafi dedicati alla pastorale giovanile popolare (nn. 230-238): in cui si prende le mosse dal riconoscimento che i luoghi consueti della pastorale (oratori, centri giovanili, scuole, associazioni, movimenti, e così via) sono sì in grado di venire incontro alle esigenze di una certa parte del mondo giovanile, ma tendono a escluderne inevitabilmente altre. Quanti professano fedi diverse o si dichiarano non religiosi, e quelli che per svariati motivi sono segnati da dubbi e traumi, rischiano così di faticare a integrarsi nella pastorale ordinaria, ma non per questo provano meno bisogno di trovare porte aperte e di essere sostenuti a compiere il bene possibile. Per questo, occorrono fantasia e creatività: doti particolarmente care al papa argentino, che vi fa volentieri riferimento nei suoi discorsi e nelle omelie. 

I primi commenti alla Christus vivit, in attesa di analisi più approfondite, si sono soffermati su un passaggio del capitolo ottavo, contenuto nel n. 261: “…ricordo che Dio ci ha creati sessuati. Egli stesso ha creato la sessualità, che è un regalo meraviglioso per le sue creature. All’interno della vocazione al matrimonio, dobbiamo riconoscere ed essere grati per il fatto che ‘la sessualità, il sesso, è un dono di Dio. Niente tabù. È un dono di Dio, un dono che il Signore ci dà. Ha due scopi: amarsi e generare vita. È una passione, è l’amore appassionato. Il vero amore è appassionato. L’amore fra un uomo e una donna, quando è appassionato, ti porta a dare la vita per sempre. Sempre. E a darla con il corpo e l’anima’”. Bergoglio, dunque, affronta il tema del sesso nel matrimonio, e lo fa con accenti umanissimi, eppure non ci sono qui – ovviamente – novità dottrinali. Si tratta di una sottolineatura bella quanto importante, anche se non totalmente nuova per i documenti del magistero. Basterebbe ricordare i ben 129 discorsi sull’amore umano che Giovanni Paolo II pronunciò nelle udienze del mercoledì dal 1979 al 1984, fino a suggerire l’ipotesi di un’autentica teologia del corpo. E’ vero che abbiamo attraversato stagioni, stagioni lunghe secoli, in cui la Chiesa imboccò direttamente la strada della sessuofobia, arma grazie alla quale non fu difficile assoggettare le coscienze ai propri dettami; ed è altrettanto vero che qualche residuo di tale concezione può ancora albergare in menti problematiche, ancorché chiamate a responsabilità ecclesiali. Ma the times they’re a changing, e non da oggi, se già il teologo Dietrich Bonhoeffer, nelle sue lettere dal carcere nazista in cui fu rinchiuso, poteva scrivere, il 20 maggio 1944: “…nella Bibbia c’è il Cantico dei cantici e non si può veramente pensare amore più caldo, sensuale, ardente di quello di cui esso parla (cfr. Cdc 7,6). È davvero una bella cosa che appartenga alla Bibbia, alla faccia di tutti coloro per i quali lo specifico cristiano consiste nella moderazione delle passioni (dove esiste mai una tale moderazione nell’Antico Testamento?)”. Tornando a Tillard, del resto, se si dà una certezza nella crisi odierna del cristianesimo, è che le presenti generazioni appaiono, inesorabilmente, le estreme testimoni di una certa modalità di essere cristiani. In un prossimo futuro, egli proseguiva, sarà indispensabile parlare di Cristo non solo dall’alto di una qualsiasi cattedra; e soprattutto imparare che la fede non si trasmette attraverso lo spettacolo dell’assimilazione nelle società, ma tramite l’umile proclamazione della differenza evangelica. Per comunicare la fede cristiana in questi nostri tempi così incerti è indispensabile ricordare che i suoi contenuti sono inseparabili da una precisa modalità di situarsi nell’esistenza, alla sequela di Gesù di Nazaret, l’uomo dell’ospitalità e dell’apertura all’altro, senza condizioni. E non si tratta solo di indicarla, questa modalità, bensì di viverla in prima persona, e di testimoniarla. In sintonia con lo spirito del saluto che il papa rivolge ai suoi interlocutori, nell’ultimo paragrafo di Christus vivit: “Cari giovani, sarò felice nel vedervi correre più velocemente di chi è lento e timoroso. Correte ‘attratti da quel Volto tanto amato, che adoriamo nella santa Eucaristia e riconosciamo nella carne del fratello sofferente. Lo Spirito Santo vi spinga in questa corsa in avanti. La Chiesa ha bisogno del vostro slancio, delle vostre intuizioni, della vostra fede. Ne abbiamo bisogno! E quando arriverete dove noi non siamo ancora giunti, abbiate la pazienza di aspettarci’” (n. 299).

Brunetto Salvarani