I miei sette mesi di permanenza in Brasile mi hanno ancor più convinto che i mali del mondo d’oggi sono in ogni parte gli stessi; anche se le conseguenze sono diverse nei vari paesi. In Brasile, per esempio, le conseguenze peggiori sono le grandissime differenze sociali e un livello di violenza mai visto. Il tutto alimentato da una corruzione diffusissima, soprattutto a livello politico e imprenditoriale, che giustifica in tutti il principio “si arrangi chi può”.
Il male più profondo, però, si trova a livello morale e culturale. A livello morale c’è l’accettazione di un sistema economico, il neo-liberismo, che fa del denaro il fine ultimo ed esclusivo – l’idolo che papa Francesco non si stanca di condannare, ma che i più, anche nella Chiesa, ascoltano con un certo fastidio. A livello culturale, invece, c’è l’accettazione del pensiero unico che dispensa dal pensare e impone comportamenti, che poco si preoccupano del vero bene sociale e del benessere cui aspirano le persone, ma servono solo ad alimentare il mercato. Il vero tempio del nostro mondo secolarizzato, nel quale si sacrificano persone umane e si adora il dio denaro. Quel dio mammona, servendo il quale – come dice Gesù – non è possibile servire il vero Signore.
A chi dirà che queste mie considerazioni sono molto astratte, faccio osservare che c’è uno di questi comportamenti nel quale siamo un po’ tutti invischiati ed è la vera linfa del nostro sistema economico: il consumismo. Di questo male, chi ne parla oltre papa Francesco, che anche pochi giorni fa lo ha definito una forma di schiavitù? Nella diocesi di Carpi, nelle non poche omelie che ho ascoltato, non ne ho sentito neppure l’eco. Se mi sarà possibile, ne parlerò in un prossimo post.
Ho appena finito di scrivere questo testo, quando mi sono accorto che l’arcivescovo di Milano, nel suo discorso alla città, del 7 dicembre, ha affermato l’importanza di “pensare”, ripetendo come un ritornello “siamo autorizzati a pensare”.
(cf. http://www.google.com/search?client=firefox-b&q=Delpini+”siamo+autorizzati+a+pensare”)
Tommaso Cavazzuti