“La pastorale giovanile ha sofferto l’urto dei cambiamenti sociali. I giovani, nelle strutture abituali, spesso non trovano risposte alle loro inquietudini, necessità, problematiche e ferite. A noi adulti costa ascoltarli con pazienza, comprendere le loro inquietudini o le loro richieste, e imparare a parlare con loro nel linguaggio che essi comprendono. Per questa stessa ragione le proposte educative non producono i frutti sperati. (Evangelii gaudium,76).
Queste parole della “Evangelii gaudium“ e il Sinodo dei giovani appena concluso, mi suggeriscono alcune considerazioni. Il disorientamento in cui si trovano i giovani, oggi, ha una causa abbastanza evidente, della quale si ha poca consapevolezza, per cui non se ne parla quasi mai: l’aver dimenticato che l’esistenza umana necessariamente ha un fine al quale tutto deve convergere. Una delle immagini più belle della vita è il viaggio. Ne abbiamo esempi famosi in tutta la letteratura mondiale. Ora, il viaggio suppone una meta alla quale arrivare. Le varie tappe del percorso da fare trovano senso dal fine che si vuole raggiungere, in rapporto al quale le varie tappe hanno appena valore di mezzo. Le espressioni “sbandato”, “fuori strada”, “sentirsi perso”, alludono proprio a questa idea.
Una delle cause di questo “sbandamento” è il fatto che nel nostro mondo siamo sommersi da una infinità di mezzi, di cui la pubblicità ci riempie la testa, presentandoceli come fossero il fine della vita. E qui sta l’inganno: tutto ciò che è molteplice e contingente non può essere il fine. Può essere appena un mezzo, che può aiutare a raggiungere il fine (e allora è importante), ma che può anche allontanare o addirittura escludere il fine (e allora è negativo).
Il consumismo e le varie forme di idolatria che asserviscono l’uomo (quella del denaro, del potere e del piacere) invischiano la persona in questo errore gravissimo: trasformano semplici mezzi nel fine dell’esistenza. E’ un errore da cui ci si lascia facilmente ingannare perché offre una soddisfazione immediata che la parte inferiore di noi ritiene del tutto appagante. L’inganno si fa presto sentire, e se non si rimane irretiti in una forma di dipendenza, nel migliore dei casi si cercano altre strade ugualmente ingannevoli.
Di fronte a questo comportamento i nostri vecchi direbbero: “S‘ac pasa per la testa”; “An se sa mia s’al vol“. Questo fatto è dovuto a una coscienza di sé insufficiente, incapace di illuminare la strada da prendere. Ma come educare la coscienza? Come possono aiutare gli educatori? Che ruolo ha la famiglia, la scuola, la chiesa, le associazioni?
Ho l’impressione che da noi se ne parli molto poco, limitandosi a lamentarsi. Qualcuno dirà che io sono ormai fuori dalla realtà, per cui non mi accorgo della vitalità della nostra diocesi. Spero sia così e sarò molto grato a chi me lo vorrà mostrare.
Come insegnante, dicevo spesso che non è sufficiente istruire ma è anche necessario aiutare nella formazione. E la scuola aiuta nella formazione quando insegna realmente a pensare. In che modo? Non travasando dal magazzino della propria mente le informazioni che si ritiene utili trasferire nelle menti degli alunni. Insegnare e apprendere non si danno in questo modo; e facendo così non si insegna a pensare, ma si riempie (non la mente ma la memoria) di nozioni che rimangono estranee alla mente dell’alunno, il quale si sente obbligato a ritenerle per poterle ripetere all’esame che lo aspetta.
Secondo me, educare significa partire dalle conoscenze e dall’esperienza dell’educando, aiutandolo anzitutto a formulare in modo più profondo ed esteso le sue domande (e questo suppone capacità di ascolto e di comprensione); e, in seguito, aiutandolo a rispondere lui stesso alle domande fatte, servendosi delle imagini e dei concetti che gli sono più familiari. Questo è anche il pensiero di un grande pedagogo brasiliano, Paolo Freire. Senza questa educazione le varie ideologie non fanno fatica a colonizzare i popoli, rendendo sempre più precarie le nostre democrazie, e rendendo anche più difficile il rapporto tra le generazioni.
Tommaso Cavazzuti