Equivoci nel paragone tra dopoguerra e postpandemia
La festa della liberazione, a causa del momento che stiamo vivendo, ha evocato immagini e possibili confronti che, a prima vista, sono sembrati interessanti e molto istruttivi. Io non sono uno storico ma, avendo vissuto in qualche modo gli ultimi anni della guerra e il periodo successivo, mi sembra del tutto non appropriato il paragone tra il dopoguerra e il momento che ci aspetta dopo la tragedia del coronavirus. Vorrei indicare alcune differenze che mi sembrano fondamentali.
Anzitutto, con la fine della seconda guerra mondiale c’è stato il crollo di una dominazione e di un sistema politico ormai insopportabile. La ricostruzione sarebbe stata fatta, non da chi aveva perso, ma da una nuova classe di persone che avevano combattuto il nazifascismo anche a rischio della propria vita. Nella postpandemia, invece, non saranno i medici che hanno lottato contro il coronavirus a creare le condizioni per una vita sociale normale, ma sarà la stessa classe politica (e i cittadini che la sostengono) ad essere i protagonisti del cambiamento. La differenza non è da poco.
Inoltre, nel dopoguerra si è passati dalla distruzione, dalla miseria e dalla fame a una situazione che tutti avevano il diritto di sperare migliore. Adesso, invece, si passa da una situazione di benessere ad un’altra certamente peggiore, nella quale sarà necessario accettare sacrifici, restrizioni, ecc. Le generazioni giovani, le generazioni del “tutto e subito”, che in questo momento sono chiamate ad essere i principali protagonisti, sapranno rinunciare a cose la cui mancanza durante pochi mesi ha costituito un peso non indifferente?
Per di più, nel dopoguerra c’erano ideali per i quali si era disposti a fare sacrifici; e quanti ne sono stati fatti! Adesso, invece, gli ideali sono considerati ideologie morte, e gli interessi personali e di gruppo li hanno sostituiti, impedendo di pensare, non dico al dopodomani, ma neanche al domani. Per questo, se si escludono pochissime eccezioni, non esistono neppure veri partiti. Esistono, purtroppo, gruppi di interessi.
Nel dopoguerra i veri protagonisti del cambiamento sono stati i movimenti sociali e una classe operaia sempre più forte, sostenuti fortunatamente da politici e sindacalisti che hanno saputo interpretare le loro lotte con sufficiente intelligenza. Adesso c’è una grande frantumazione delle classi sociali, spesso indebolite dallo stesso benessere ottenuto. Inoltre, a comandare, oggi, non sono tanto i politici, ma un capitale anonimo, sempre più concentrato nelle mani di pochi e su cui neppure gli Stati hanno un vero controllo.
E non dobbiamo dimenticare che nel dopoguerra abbiamo avuto personaggi come De Gasperi, La Pira, Dossetti, Lazzati, Fanfani, Saragat, Vanoni, Mattei; e i loro avversari si chiamavano Palmiro Togliatti, Pietro Nenni, Nilde Iotti, ecc. Mentre adesso possiamo solo pregare che i giovani scoprano il valore e l’importanza della politica, vedendo in essa, non uno strumento di affermazione personale, ma un mezzo per promuovere un bene più universale.
Sono convinto che, nella situazione attuale, il dramma del coronavirus produrrà effetti positivi sul piano sociale e politico soltanto se ci sarà una vera rivoluzione culturale, in caso contrario si dovrà appena assistere a un regresso del benessere cui eravamo abituati.
Questa rivoluzione dovrebbe portarci a pensare che: a) il bene comune è indispensabile per il vero bene degli individui e deve costituire il fine di tutta l’azione politica; b) la felicità non sta in un maggior consumo, ma nella soddisfazione dei veri bisogni dell’uomo; c) la moltiplicazione dei mezzi non può sostituirsi ai fini che danno un senso alla vita; d) la libertà più preziosa è quella interiore e non c’è schiavitù peggiore di quella che ci rende prigionieri del proprio io. Credo che questa sarebbe la rivoluzione del Vangelo. Senza di essa il nostro “ce la faremo” sarà appena un riuscire a fare niente e tutto tornerà come prima.
Tommaso Cavazzuti