Il Campo di Fossoli è comunemente sentito e presentato come luogo di deportazione specialmente di ebrei ai campi di sterminio tedeschi nell’ultima guerra mondiale. Ma lì non c’è stato solo questo.
Sarebbe più appropriato farne un’icona integrale della guerra.
Ci sono stati tutti gli orrori dei conflitti armati dall’inizio del conflitto al tempo post-bellico (1940-1970), come ci raccontano le varie ondate dei suoi occupanti. Ci furono all’inizio prigionieri delle forze armate italiane e alcuni sfollati della Libia (1942-43). C’è poi il periodo (1943-70) in cui entra in funzione il “campo nuovo” (l’attuale), mentre “il vecchio” cesserà nel 1944. Comincia l’arrivo dei “misti”, cioè famiglie con un coniuge ebreo e quindi per legge non deportabili; sono trattenuti con una limitata libertà. Nel “campo nuovo” sono detenuti poi ebrei destinati “al Nord”, linguaggio burocratico per indicare tre Lager tedeschi di “lavoro” e il campo di sterminio di Auschwitz; insieme a questi ci sono anche oppositori politici italiani (dicembre 1943 – settembre 1944), dapprima sotto la giurisdizione della Repubblica di Salò e poi dei tedeschi. Nel 1944 il campo viene bombardato due volte. Alla fine del 1944 vi sono raccolti, sempre sotto giurisdizione tedesca, “lavoratori coatti” italiani da inviare in Germania. Passa nel luogo frattanto anche anche una serie di persone sbandate e “indesiderabili”, che, con il 1945, sotto giurisdizione italiana, formano un “Centro raccolta profughi stranieri”, compresi ex collaboratori dei passati regimi. Questa nuova ondata si chiude del tutto nel 1947.
Nello stesso anno, il 19 maggio, don Zeno Saltini installa “Nomadelfia”, l’esperienza che ben conosciamo e che da Fossoli si trasferisce nell’estate 1952, con quel che ne rimane, per ordine del Governo e con il consenso della Santa Sede. L’ultima ondata, molto dolorosa, soprattutto all’inizio,è quella dei profughi giuliani. Vengono dalle aree della Venezia Giulia e della Dalmazia lasciate dall’Italia alla Yugoslavia comunista con il “Memorandum di Londra” (1954). Si costituiscono in “Villaggio San Marco”, formando anche una parrocchia con circa 400 persone (1954-70), fino a quando le ultime unità confluiscono in un condominio in Via Nuova Ponente e ivi officiano una loro chiesetta ora cadente.
L’attenzione al Campo di Fossoli si è accesa nel 1973 con la progettazione e l’inaugurazione del Monumento Museo al Deportato politico e razziale, promossa dal Comune di Carpi in città. Dal 1970 il Campo fu completamente abbandonato, subendo saccheggi e disfacimento per molti anni. Un salto qualitativo in ordine al suo recupero e alla valorizzazione è avvenuto con l’istituzione della Fondazione Fossoli (1996) e l’allargamento dell’attenzione da un livello locale a uno più ampio. Un intervento statale ora prevede una completa museizzazione del Campo. Essa mette l’attenzione sulla deportazione in Germania di circa 5.000 persone, di cui circa 2.000 ebrei.
Mi sembra giusto non discriminare tra tante ingiuste sofferenze, che purtroppo accompagnano tutte le guerre: prigionieri di guerra, prigionieri politici, sfollati, fame, violenze, esilio, bombardamenti, uccisioni arbitrarie, lotte di guerra civile. E’ ovvio che la macchia del tutto singolare della “Shoah”, perpetrata dai nazifascisti, non va sottovalutata. Nè vanno dimenticati i punti luminosi di bontà accesi da persone come don Francesco Venturelli, parroco di Fossoli, da monsignor Vigilio Federico Dalla Zuanna, da Nomadelfia e da tante altre persone, perfino all’interno stesso del Campo come fecero il beato Odoardo Focherini e Teresio Olivelli.
Carlo Truzzi