Alla fine, obtorto collo, più per le spinte esogene (le sollecitazioni del Papa) che per quelle endogene (una necessità sentita dai vescovi), la CEI ha deciso di intraprendere un cammino sinodale alla stregua di quanto hanno fatto o stanno facendo altre assemblee episcopali nel mondo, anche se non si conoscono ancora gli obiettivi e per vederne la fine occorreranno anni e non mesi.
In questi frangenti, mi torna sempre in mente il sinodo diocesano di oltre vent’anni fa, inaugurato da mons. Bassano Staffieri e mai portato a compimento. Furono istituite commissioni, si fecero incontri e furono mobilitati il laicato e le associazioni. Purtroppo, prima di giungere a conclusione, mons. Staffieri lasciò la Diocesi di Carpi per quella di La Spezia e il suo successore, mons. Elio Tinti, ritenne che quel sinodo non fosse più una priorità e lo sospese senza tante spiegazioni. Che io ricordi, il risultato più tangibile dello sforzo profuso fu la creazione di un nuovo cantorale diocesano, con una selezione più accurata e omogenea di canti per la liturgia. Non granché, si potrebbe dire.
Anche in tempi più recenti, gli appelli del Papa per accrescere l’inclusione del popolo cristiano nelle decisioni della Chiesa sono stati anestetizzati da larga parte dell’episcopato. Basti pensare al sinodo sulla famiglia del 2015. Alcune Conferenze episcopali, come quella inglese, seguendo le indicazioni del Pontefice avevano tentato di coinvolgere i credenti in modo ampio, invitandoli tra le altre cose a rispondere a questionari online; nella nostra Diocesi (ma anche in molte altre della Penisola) i temi furono invece trattati nei circoli ristretti dei consigli parrocchiali e le conclusioni accuratamente filtrate e addomesticate prima di essere inviate a Roma, allineandole di norma all’orientamento del vescovo locale. Se l’Esortazione apostolica Amoris laetitia, frutto di quel sinodo, era apparsa a molti credenti come “la montagna che aveva partorito il topolino”, nelle nostre lande nebbiose non era giunta nemmeno la debole eco di quello squittio. Mesi di copertura mediatica nazionale e di polemiche sulla comunione ai divorziati risposati erano scivolati via come foglie al vento, lasciando ogni cosa immutata.
Nel 1999 il teologo e psicoterapeuta tedesco Manfred Lütz nel libro “Il gigante bloccato: psicoanalisi della Chiesa Cattolica” aveva identificato quattro questioni senza uscita che bloccavano la Chiesa Cattolica: il celibato, il sacerdozio femminile, la morale sessuale e la gerarchia della Chiesa. Oggi, osservando la discussione che si sviluppa all’interno del sinodo tedesco, è costretto ad annotare che queste quattro questioni restano realisticamente irrisolvibili. Specialmente dopo il sinodo per l’Amazzonia, dove è risultato chiaro che Papa Francesco non metterà in discussione il celibato e non introdurrà il diaconato per le donne, e il recentissimo divieto di benedizione per le coppie omosessuali emesso dalla Congregazione per la dottrina della fede. Manfred Lütz, intervistato, chiosa con realismo e amarezza: “L’impresa deve essere ora quella di lasciare che il Cammino sinodale finisca senza un risultato tangibile, ma con la minor frustrazione possibile.”
Saverio Catellani