I rischi dell’opacità

I rischi dell'opacità

La sfida della trasparenza va affrontata anche nelle nostre comunità cristiane.

Non so se fosse stata un’idea originale di don Enea Tamassia, quando divenne parroco del Duomo sul finire degli Anni Ottanta o invece una pratica già diffusa in altre parrocchie, ma io non l’avevo mai vista prima di allora. Quando doveva chiedere un contributo economico per progetti dal costo rilevante, lui affiggeva un grande cartellone in fondo alla chiesa con la somma da raggiungere. Via via che arrivavano le donazioni, vi scriveva sopra il nome del benefattore e la cifra. Si poteva anche mantenere l’anonimato, nel qual caso la somma era accompagnata da N.N.

Il sistema evidentemente funzionava, perché don Enea lo ripropose spesso negli anni a venire. Piaceva anche ai fedeli: l’obiettivo era chiaro, si capiva se era stato raggiunto, chi aveva contribuito e in che misura.

Certo, sulla strada della trasparenza si doveva essere disposti anche a correre qualche rischio. Per esempio, a me piaceva curiosare tra nomi e cifre e mi sorprendevo se certi parrocchiani notoriamente benestanti offrivano quanto la vecchietta pensionata. Qualcuno, più addentro di me alle dinamiche parrocchiali, ipotizzava che don Enea si rivolgesse poi direttamente a loro “in camera caritatis” per saldare il conto se la somma non veniva raggiunta, ma il dubbio che in realtà fossero semplicemente tirchi mi è sempre rimasto.

Credo che oggi, sul concetto di “trasparenza”, si giochi tanta parte della fiducia che corre tra i fedeli e le istituzioni ecclesiali, siano esse la parrocchia o la Diocesi. Anno dopo anno, l’opacità intorno ai processi decisionali nelle nostre comunità (che crescono in nebbia e mistero via via che si sale dalla dimensione parrocchiale verso quella diocesana), ha agito come la goccia che scava la roccia provocando un diffuso clima di freddezza o indifferenza di fronte a certi appelli.

Non penso che la mancanza di trasparenza sia dovuta tanto a malafede o al desiderio di nascondere degli illeciti, quanto piuttosto a un cedimento alla comodità, alla pigrizia, all’evitare la fatica di dover render conto o alla necessità di difendersi da una stampa laica agguerrita. Da tanti motivi, insomma, alcuni persino giustificabili.

Oggi però la sensibilità dei fedeli in materia è cambiata, così come le possibilità che la tecnologia mette a disposizione. Un clic sul sito della Diocesi e potrebbero comparire le voci di bilancio, spiegate bene, oppure il lavoro che si svolge nelle Commissioni o i verbali dei Consigli di Curia. Con la trasparenza cresce il senso di appartenenza, la voglia di lavorare per un obiettivo comune e anche l’affetto e la simpatia verso la propria Diocesi.

L’opacità opera invece come un freno a mano tirato e non bisogna poi meravigliarsi se i fedeli non alzano vessilli al vento e non scendono in piazza a difendere storia, prestigio e autonomia della Diocesi di fronte a probabili accorpamenti.

Opacità per opacità… fiat voluntas Dei.

Saverio Catellani