I laici di fronte ai rischi del clericalismo

Laici e Clericalismo

Mons. Castellucci, nella sua Lettera pastorale alla diocesi di Carpi, afferma che “è la comunità che annuncia, celebra e tesse la rete della fraternità”. E per questo “sono importanti gli organismi di partecipazione: il consiglio presbiterale, il consiglio pastorale diocesano, i consigli pastorali parrocchiali e zonali”. La Chiesa, però, non è una democrazia, ma ha una struttura gerarchica. Come si può conciliare gerarchia e spirito di comunione, senza cadere nel clericalismo, condannato tante volte da Papa Francesco?

Ci aiutano a rispondere a questa domanda alcune espressioni molto belle dello stesso Mons. Castellucci. “Il pastore – presbitero o vescovo – presiede la missione dell’intero popolo di Dio. Come scrivono Sant’Agostino e San Gregorio Magno, il presiedere deve essere inteso come “essere per” (prae-esse come prod-esse), e mai come uno spadroneggiare; per favorire la missione di tutti e non certo per assorbirla in sé o per ostacolarla. Il fatto che la Chiesa non sia una democrazia, non significa che sia una monarchia”.


Sorge, però, un’altra domanda: com’è possibile questo? E’ possibile ai laici avere voce e iniziative proprie, senza lasciarsi, in qualche modo, clericalizzare prima? Certamente, in principio è possibile; ma ritengo che sarà abbastanza difficile se non si verificano alcuni presupposti. Ne elenco alcuni, col desiderio di contribuire a un possibile discernimento comunitario.


1) E’ necessario distinguere nel pastore tra il ministero sacro, che gli è esclusivo, e il potere giuridico, che gli è riconosciuto dal diritto canonico. Io mi domando: non sarebbe meglio attribuire il potere alla comunità, sia pure strutturata gerarchicamente, e non alla singola persona del pastore? Aiuterebbe a ritenersi tutti uguali e a concepire il potere come servizio e non come dominio.


2) E’ importante riconoscere le competenze e i campi di azione che sono propri dei laici. Citando l’enciclica di Paolo VI Evangelii nuntiandi, Giovanni Paolo II nella esortazione sinodale Christifideles laici scrive: “il campo proprio dell’attività evangelizzatrice dei laici è il mondo vasto e complicato della politica, della realtà sociale, dell’economia; così pure della cultura, delle scienze e delle arti, della vita internazionale, degli strumenti della comunicazione sociale; ed anche di altre realtà particolarmente aperte all’evangelizzazione, quali l’amore, la famiglia, l’educazione dei bambini e degli adolescenti, il lavoro professionale, la sofferenza. »(n. 76). Anche le competenze proprie dei laici sono importanti nell’annuncio del Vangelo. Chi, per esempio, può parlare meglio della realtà della famiglia di chi la vive in senso pieno?


3) In tutti, poi, è necessaria una umiltà vera, per riconoscere che ogni azione nella Chiesa può avere efficacia solo in virtù dello Spirito che la anima. E nessuno deve sentirsi padrone della verità, ma un umile servitore che è appena desideroso di condividerla con gli altri.


4) Infine, è importante imparare e rispettare le regole del dialogo. Il dialogo richiede capacità di ascoltare e capire il proprio interlocutore, senza attribuirgli pensieri e intenzioni a lui completamente estranei. Purtroppo, molto spesso si ascolta quasi per un dovere di educazione, con la convinzione di sapere già quanto l’altro sta per dire, desiderosi appena di poter prendere la parola al più presto per dare la propria risposta, che già in anticipo si ritiene adeguata e indiscutibile. A questo punto, il “dialogo” continua appena come sforzo per convincere l’altro della giustezza delle proprie ragioni. E che dire di un dialogo in cui il prete risponde a chi lo contesta, “io devo rispondere solo al vescovo”, oppure lo apostrofa dicendo “ma chi sei tu per parlare così”? 

 Tommaso Cavazzuti