Fra luci e silenzi

Fra luci e silenzi

Un quadro incompleto

Si ricavano interessanti spunti di riflessione leggendo analiticamente la Relazione interdiocesana Modena-Carpi, sul biennale cammino sinodale percorso nella cosiddetta fase narrativa, e sulle proposte per l’anno pastorale ora all’inizio, cioè per la fase sapienziale dell’itinerario previsto dalla Cei per la Chiesa italiana.

Il documento parte esprimendo viva soddisfazione perché nel lavoro svolto “è stata favorita, proposta e richiesta la conoscenza e la collaborazione diretta tra i diversi uffici pastorali delle due diocesi”, favorendo in tal modo la progettazione trasversale delle iniziative. Ne prendiamo atto positivamente, anche se potremmo considerarlo da un lato il minimo sindacale, e dall’altro il necessario preludio ad una fusione, inevitabile per oggettive ragioni di economia funzionale, trattandosi di strutture concrete e non di puri spiriti. Ma, come leggiamo su Notizie, questa prospettiva continua a risultare sgradita a Qualcuno in Corso Fanti.

La Relazione si addentra poi nell’elencazione dettagliata delle attività proposte ed attuate nei tre cantieri in cui si è articolato il cammino sinodale. Si tratta in gran parte di  iniziative già a suo tempo raccontate dal settimanale diocesano : cicli di momenti formativi, laboratori  e schede di approfondimento del tema “sinodalità”,  una sequenza di incontri riferiti ai diversi ambiti della società (personale scolastico, imprenditori, giornalisti, sindaci e consiglieri comunali), e la ricerca relativa ai linguaggi svolta fra gli studenti.

Sulla fecondità di questo benemerito impegno ci corre l’obbligo di  avanzare alcune domande. Anzitutto, al punto “schede sinodali diocesane” (Benedizione alle famiglie, Oratorio, Parola di Dio, Omelia), spunta la parola gruppi, oggetto misterioso di cui non si spiega la quantità, la consistenza numerica di ciascuno, e la tipologia dei partecipanti. In sostanza non è dato sapere quanti Organismi di partecipazione ad ogni livello, quante parrocchie, quante aggregazioni laicali siano state coinvolte nell’operazione. Chiediamo: è stata o meno conseguita quella capillarità nel coinvolgimento del Popolo di Dio, su cui il Papa e la Cei insistono da sempre?

Per quanto riguarda poi i citati incontri con le varie realtà della società civile il documento ne dà conto piuttosto burocraticamente. Al di là del pur sempre positiva occasione di conoscenza reciproca, sono serviti, al Vescovo e ai Responsabili degli Uffici diocesani ospitanti, per ascoltare semplicemente i problemi, le speranze e i timori dei rispettivi mondi rappresentati (materia certo non ignota), oppure si è anche sondato il loro punto di vista sulla Chiesa e se ne sono ricavate osservazioni inedite ed utili per aggiustare il tiro sul piano pastorale?  Se sì, quali, di grazia?

Circa il terzo cantiere, abbiamo già lamentato a suo tempo che, sull’adeguatezza dei linguaggi della  Chiesa, siano stati interpellati  con un  questionario solo  studenti delle scuole superiori di Mirandola, senza un coinvolgimento anche parziale delle migliaia di alunni degli istituiti carpigiani.

E veniamo alle “prospettive”. Si preannuncia, in termini molto vaghi, l’intenzione di “portare avanti nei prossimi anni” un impegno focalizzato sui linguaggi, sulla formazione  sociale e culturale  dei giovani, e sull’ascolto di esponenti delle diverse espressioni pubbliche della società diocesana, secondo lo stile sinodale positivamente apprezzato nelle precedenti occasioni. In sostanza si riconfermano genericamente taluni percorsi, ci auguriamo stavolta secondo una logica davvero sapienziale, ossia per individuare le vie che la Chiesa deve intraprendere per rispondere alle sfide pastorali che l’attuale “cambio d’epoca” impone. L’ascolto, pur sempre fondamentale come attitudine, non può più essere prioritario nella nuova fase del discernimento.

La Relazione si conclude riportando tre scoperte che il biennale percorso di ascolto ha evidenziato. In primo luogo nella comunità ecclesiale prevale ciò su cui si concorda, ma ci si divide sul che fare, sul cosa conservare e cosa innovare. E questo la dice lunga sulla liquidità culturale e dottrinale indotta sia dal perenne complicato rapporto istituzione/ profezia nella Chiesa, sia dalle problematiche sollevate ma non risolte dal Vaticano II.

Si sottolinea poi che lo stile dell‘ascoltarsi “è risultato di per sé un valore aggiunto” e  quindi può “potenzialmente essere in grado di rinnovare ogni cosa, poiché apre spazi all’ascolto della novità che lo Spirito porta sempre”. Non come pioggia arcana dall’alto, ci permettiamo di rammentare, ma attraverso il sensus fidei  delle concrete realtà, individuali e collegiali, che compongono il Popolo di Dio.

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