Dopo le dimissioni

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Per comprendere davvero le ragioni e le conseguenze di un gesto, che ha sorpreso non solo all’interno del tessuto diocesano ma l’opinione pubblica tutta, occorre leggere congiuntamente in filigrana diversi documenti: il messaggio di congedo di mons. Cavina, quello di saluto di don Erio, come preferisce esser chiamato l’arcivescovo Castellucci, l’intervista di quest’ultimo a Nostro tempo, il settimanale della diocesi di Modena e il resoconto di Notizie sul suo primo incontro con il clero e gli uffici della curia di Carpi.

Nel primo leggiamo che causa delle dimissioni sono stati “i continui tentativi di delegittimazione, nonchè negli ultimi tempi intercettazioni telefoniche” relative ad un’indagine conclusasi con la completa archiviazione, ed una persistente “gogna mediatica”. Ora sarebbe utile conoscere a quali “tentativi di delegittimazione” o a quale “ gogna mediatica” ci si riferisca e chi ne sarebbe responsabile. Definire, infatti, in tal modo legittime e documentate osservazioni critiche, avanzate verso specifici aspetti della gestione pastorale, rivelerebbe una concezione piuttosto autoritaria e personalistica della potestà di governo di una diocesi. Ma v’è di più: mons. Cavina non aveva subito in silenzio la situazione da lui lamentata. Come non ricordare le vibranti autodifese tenute in solenni occasioni in Cattedrale? Se dunque era convinto in coscienza di esser vittima di una vera e propria persecuzione senza mai averne fornito il minimo pretesto, ma anzi avendo sempre operato al meglio, perché dimettersi? Si tratta, occorre sottolinearlo, di un gesto assai raro, compiuto recentemente da alcuni vescovi ma solo per gravi scelte, loro contestate, più o meno apertamente, dalla Santa Sede. Sorge dunque il dubbio che possano essere altre le cause decisive dell’addio, soggettive od esterne che siano.

Sembra utile allora riflettere su taluni passaggi della citata intervista e del messaggio di mons. Castellucci.  Partiamo dal colloquio avuto con il Nunzio apostolico, che , racconta il presule, “Ha parlato delle varie realtà presenti a Carpi. Ho avuto l’impressione che sia molto informato sulla diocesi”. Vale a dire che a Roma erano ben note non solo le positività ma anche le problematiche pastorali che hanno contraddistinto la realtà ecclesiale locale in questi ultimi anni. E la prima raccomandazione del Nunzio è stata: voler bene alla gente e soprattutto ai sacerdoti. Un aspetto quest’ultimo su cui si erano registrate non poche criticità in passato. E con quale metodologia mons. Castellucci intende operare? Proprio con quella sinodalità ignorata fin qui, consultando “i pastori, i religiosi e i laici attraverso gli organismi di partecipazione, in primo luogo il collegio dei consultori, il consiglio presbiterale e il consiglio pastorale”. Si potranno così individuare “ in maniera collegiale alcuni obiettivi su cui poter lavorare”. Quindi inversione di 180°, anche secondo l’esplicita indicazione di Roma.

Resta alla fine il quesito su cui si è concentrata l’attenzione dei più: si andrà alla fusione delle due diocesi? Dalle parole dell’Arcivescovo, ora anche Amministratore apostolico per Carpi, l’ipotesi appare non decisa ma forse probabile, per alcuni particolari significativi: la sottolineatura del Nunzio sul più volte ribadito auspicio del Papa che in Italia si riducano le diocesi; il suo desiderio che “ si verifichi ‘sinodalmente’ anche questa possibilità, cercando in ogni caso di compiere passi collaborativi ulteriori” rispetto a quelli importanti già in atto. In proposito fin da ora mons. Castellucci prospetta che “si possano attivare collaborazioni più strette in altri ambiti come l’Istituto Diocesano  Sostentamento Clero e alcuni settori della pastorale”. Inoltre all’Amministratore apostolico sono stati conferiti poteri più ampi di quelli solitamente attribuiti in caso di sede vacante, vale a dire “tutte le facoltà e i doveri del vescovo diocesano”, comprese “le nomine dei parroci e dei principali collaboratori”.  “Il resto, conclude don Erio, verrà da sé, se verrà, con me o con altri vescovi. La comunione non si può certamente imporre, ma va maturata passo dopo passo”.

Siamo quindi di fronte ad una questione cruciale, che richiederà, da parte di tutti, disponibilità al confronto e apertura senza miopi pregiudizi, primariamente allo scopo di far acquisire una sempre più feconda dimensione missionaria alla Chiesa locale, come ci chiede papa Francesco.

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