Brevi cenni sull’universo
Ha proprio ragione l’amico Levoni a giudicare il momento di riflessione dello scorso 20 febbraio in sala Duomo con il vescovo e il vaticanista Ingrao molto interessante. Per noi lo è stato al punto che, alcuni passaggi, sono ancor adesso motivo di riflessione.
Più nello specifico alcune considerazioni di Castellucci ci hanno indotto ad approfondimenti che provo a condividere .
“Si dice spesso che la Chiesa è in crisi e in crisi è anche il mondo; ma la Chiesa è nel mondo, quindi non può non essere in crisi!” questa l’affermazione centratissima da cui è partito. La parola crisi è una delle parole del Novecento, una delle più indagate e multiuso (“C’è crisi, c’è grossa crisi” diceva il lamentoso profeta Quelo alias Corrado Guzzanti, se ci si concede una facezia) . Qui provo a proporne un’interpretazione che non si fermi all’accezione negativa ma ne veda un senso più profondo. C’è crisi perché c’é accelerazione nel cambiamento. C’é crisi perché per fare un esempio, il mondo in cui siamo nati è molto diverso da quello attuale e, se è vero il presupposto dell’accelerazione, che il cambiamento cioè è sempre più veloce, la crisi come, fra le altre cose, inadeguatezza degli schemi interpretativi è una condizione strutturale del presente e sempre più lo sarà del futuro. Da questo deriva quella difficoltà nel cogliere i segni dei tempi, perché la scena muta in continuazione verso traiettorie che spesso non abbiamo previsto. A dimostrazione di questo Castellucci acutamente osservava come negli anni Settanta le contestazioni alla Chiesa venissero dai cosiddetti progressisti, da sinistra per semplificare. Oggi le contestazioni vengono dai conservatori, da chi vive comprensibilmente e legittimamente questa situazione con disagio e che vorrebbe che la Chiesa le si opponesse sotto sotto sperando con questo di fermare i processi di cambiamento che sono in realtà irreversibili.
Qual è l’attitudine giusta con cui approcciare una stabile condizione di crisi/cambiamento? Qui sta il vero problemone non solo della Chiesa, della gerarchia, dei credenti ma di tutte le leadership politiche o di qualsiasi altro tipo. Un altro passaggio dell’intervento di Castellucci ci ha offerto strumenti di analisi. Frequentemente la parola crisi declinata in senso cristiano fa riferimento alla sempre più acuta crisi della frequenza religiosa e a molte altre variabili che testimoniano di un drammatico affievolirsi del sentimento religioso. Su questi schermi se ne è parlato tanto, così come la pubblicistica è, al riguardo, ricchissima fino a configurare un vero e proprio genere letterario. Castellucci, citando un esempio concreto della sua esperienza pastorale, invitava altresì a vedere elementi positivi nei gesti di piccola carità che nella nostra esistenza non mancano mai. Qui la parola carità è usata con tutto il peso che le attribuisce s. Paolo nella lettera ai Corinzi, come quella virtù che “non avrà’ mai fine”. Qui diventa centrale quel delicatissimo equilibrio fra istituzione e profezia che ha fin dalle origini caratterizzato la storia della cristianità. Sono due dimensioni ineliminabili nella esperienza delle fede, da un lato viviamo in attesa della ricompensa che ci è stata profeticamente promessa, dall’altro viviamo la quotidianità dell’esperienza di fede che deve essere ecclesialmente sostenuta da istituzioni preposte. L’una cosa non senza l’altra. Quello che appare oggi è che se è vero la condizione di cambiamento del mondo in cui viviamo la sete di profezia, di capacità di dare un senso a un processo che è sempre più accelerato è molto forte e da quel che vediamo largamente sentita dal popolo di Dio ma non solo. Quel che di sicuro possiamo dire che questa condizione di cammino che a tratti ci appare una corsa acquista senso se l’ancoriamo a scelte di carità e condivisione. In questo tempo che è assetato di profezia la risposta della carità è la certezza più solida che abbiamo.
Questo ci hanno suggerito le parole di Castellucci e di tutti gli altri presenti sperando di non aver travisato né lui né loro.
Mario Lugli