Ho pensato a come portare un primo contributo all’aspetto maggiormente evidenziato nell’ultimo incontro: “Stranieri presenti nel nostro territorio….relazioni umane e appartenenze religiose”. Le seconde a intessere le prime? No, si parte dall’esperienza dell’altro…
Per iniziare col ritrovare l’altro, straniero, accanto a noi, a casa mia, ho ripescato uno sprazzo di vita, di qualche anno addietro, all’ IPSIA Vallauri di Carpi, scuola professionale con abbondante presenza di stranieri, che ripropongo.
Una classe multietnica tra identità e appartenenza
“IL CROCIFISSO SIMBOLO DEL GRUPPO”
“MUSULMANI VIA LIBERA AL CROCIFISSO”. Così titolava la Gazzetta dell’11 gennaio 2006 e nel sommarietto: “Al Vallauri islamici e cristiani d’accordo:Gesù è un simbolo di pace per tutti”.
Io ero l’insegnante coordinatore di quella Prima A. Mi ritrovai di fronte ad una inaspettata richiesta presentatami dai due studenti neoeletti rappresentanti di classe. I due ragazzi, in una aula stranamente silenziosa, si alzarono e, incedendo verso la cattedra, sentenziarono: “Prof, abbiamo fatto l’assemblea di classe. Le chiediamo il crocifisso”.
Guardai i due ragazzi e i loro compagni in attesa e risposi: “E’ un problema. Bisogna chiederlo al Comune, poi le polemiche….Sapete del Liceo…,ma ne avete il diritto. Certo, lo avrete”.
Chiesi ad uno ad uno. La classe era per metà composta di alunni stranieri molti dei quali islamici. Nessuno era contrario. Ricordo alcune motivazioni:”Bene Gesù perché l’Italia è cristiana” e
“Bene Gesù, ma sarebbe meglio Maria”[la Madonna è ben presente nel Corano]. Gli italiani poi si professavano, mediamente, come dei gran praticanti. Assicuravano, mentendo, di frequentare la parrocchia essere assidui a messa e confessione.
La mia collega di Lettere, professoressa Velleda Cocchio, ricordò agli studenti le parole di papa Giovanni Paolo II che invitava a vedere nel Crocifisso un segno di unione e di pace per tutti come evidenziato nel titolo del quotidiano sopracitato.
Non essendo immediatamente possibile esaudire questa richiesta decisi di prestare ai ragazzi una copia del variopinto Crocifisso di San Damiano che comprai nel locale negozio di articoli religiosi
L’anno scolastico successivo (circa un anno fa) la classe Seconda A si vide trasferita nella aula di fronte. La loro fu assegnata alla nuova Prima A. Il Crocifisso di San Damiano era rimasto in prima. Lo richiesero e lo ebbero. Lo sistemarono dove è ancora adesso, di fianco alla lavagna: posizione familiare. Fu necessario procurarne uno per la nuova prima.
Un giorno, incrociando nel corridoio uno dei ragazzi indiani della Seconda A, gli chiesi del Crocifisso. Mi rispose, spiegandomi: “E’il nostro simbolo, simbolo del gruppo, della classe”.
Ottobre 2007.
Non ho intenzione di riprendere o commentare per lasciare campo. Son passati più di dieci anni. La contrapposizione ideologica ai simboli della fede [che era un fatto, spesso, degli adulti] si è afflosciata. Quale costruzione identitaria oggi per autoctoni e stranieri?
Raffaele Facci, settembre 2017