Chiesa fra passato e futuro

Chiesa fra passato e futuro

Don Gildo sui PARADOSSI

Avrebbe meritato più ampia partecipazione, e tempi di confronto meno ristretti, l’impegnativa relazione che il nostro Vicario Generale ha svolto a conclusione del ciclo di incontri organizzati anche quest’anno dal benemerito C.I.B. : UN DIO PARADOSSALE. Pur adeguandosi a questa terminologia, l’argomento specifico affrontato da don Gildo era in realtà una panoramica, tramite domande e impressioni, nientepopodimeno sui momenti critici che sta attraversando la Chiesa, a livello universale e a quello locale.

In sostanza una vera e propria mission impossible in una sola tornata. Comunque i corposi spunti forniti alla riflessione sulla “Chiesa che Brucia”, per rifarci al noto saggio di Andrea Riccardi, e il dettagliato elenco degli aspetti problematici che caratterizzano il cattolicesimo carpigiano-mirandolese, ben sintetizzati nello schema fornito ai partecipanti, rappresentano un quadro indubbiamente complesso, da approfondire in modalità e sede opportuna. 

Che significa definire “paradossale” la Chiesa del Post-Concilio? L’aggettivo può avere valenze diverse; quella di “contraddittoria” è certo eccessiva. Ma non si può ignorare che proprio il lodevole sforzo di aggiornare il volto e la presenza della Chiesa nel mondo abbia comportato, nella dialettica passato-futuro, la formulazione di testi conciliari prolissi, nelle cui pieghe, in fase attuativa, si sono via via insinuate variazioni dottrinal-pastorali e soprattutto suggestioni problematiche da parte di taluni teologi. Si assiste così al convivere, nel concreto tessuto ecclesiale, di terminologie, preghiere, letture e devozioni che si perpetuano immutate, assieme a visioni e sensibilità non più legate alla tradizionale concezione cristiana del Dio Trinitario, di Cristo Salvatore/Giudice, dell’Aldilà a doppia destinazione, dell’l’istituzione Chiesa, e del ruolo dei fedeli laici nel contesto culturale e socio-politico.

Non di poco peso infatti sono apparsi I diversi quesiti proposti dal nostro Vicario alla riflessione dei presenti, chiaramente formulati come polarità, fra cui il cattolicesimo, a partire dall’ambito diocesano, è chiamato a scegliere; ad esempio: una Chiesa “minoranza creativa”, come prefigurava papa Ratzinger, o una Chiesa “in uscita” secondo la formula bergogliana, cioè testimonianza o missionarietà? La Chiesa di oggi si ispira ancora all’insegnamento del Vaticano II sulla centralità della Parola, sulla vita delle comunità e sull’impegno dei cristiani nel mondo, o si corre il rischio di una vita di fede ridotta a sentimentalismo, a spiritualismo devozionale, nostalgico di forme tradizionali? Una Chiesa di popolo che valorizza le donne e i giovani, o una Chiesa gerarchica di preti e vescovi?

Terreno minato su cui, quando il confronto giunge alla fase decisionale concreta, si registrano sovente difficoltà interpretative, inciampi e rinvii clamorosi, come è accaduto al SINODO CEI che ha preteso la riscrittura delle proposizioni su cui si voterà solo ad ottobre. Per non parlare del SINODO DEI VESCOVI, che tutti ritenevano concluso, avendo prodotto un Documento Finale di 155 paragrafi, assunto dal Papa come testo magisteriale, sulla cui attuazione i Vescovi dovranno rendere conto a Roma durante le canoniche visite ad limina.  Invece, fra la sorpresa generale, tutto continua e si è programmata per il 2028 un’inedita e non meglio qualificata ASSEMBLEA ECCLESIALE, allo scopo di consolidare il percorso compiuto.

Insomma un cammino davvero travagliato, secondo una dinamica difficile fra svolte coraggiose e il rischio di attese deluse, anche perché il tam tam mediatico spesso supplisce, con le inevitabili approssimazioni, a consultazioni di base del tutto insufficienti, che coinvolgono una quota insignificante del, sempre più ridotto nel frattempo, Popolo di Dio. E su questo deficit la nostra diocesi non fa certo eccezione.

 Nell’affastellarsi di temi, posti all’ordine del giorno per riformare la Chiesa, e affrontati talora con metodologia incerta proprio per l’intersecarsi di logiche diverse (teologiche, pastorali, canonistiche), segna un punto fermo la pubblicazione in questi giorni di un documento della Commissione Teologica Internazionale, dal titolo “Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore”, che, a 17 secoli esatti dal Concilio di Nicea, ci conferma che il CREDO, scaturito da quell’assise, e che recitiamo ogni domenica, resta la carta d’identità della fede professata dalla Chiesa. Nessun linguaggio aggiornato può mistificare la realtà di fede espressa da quella formula,

Centrato quindi l’auspicio finale dello schema proposto da don Gildo: SPERARE!   Ad esempio che si trovi “a tutti i costi un ponte, una collaborazione fra Vangelo e legge naturale”, liquidata spesso come inesistente; che l‘antropocentrismo dilagante non si assolutizzi dimenticando Dio; che la persona non scada a individuo chiuso in sé stesso; che “l’ultimo giudizio sarà sull’amore o meglio sulle relazioni che esprimono l’amore”.

Mi permetto di formulare un’ulteriore speranza/esigenza: si impone una diffusa e sistematica opera per calare alla base realmente i contributi innovativi prospettati dai due SINODI. Se l’ascolto, le riflessioni sapienziali e profetiche hanno riguardato purtroppo un’esigua minoranza, sarebbe inaccettabile, sulle SCELTE conclusive, un coinvolgimento debole, incapace di rendere tutti più consapevoli del cambiamento che, sotto l’azione dello Spirito, sta vivendo la nostra Chiesa,

Pier Giuseppe Levoni