C’era una volta la GMG, acronimo di Giornata Mondiale della Gioventù, un evento mondiale per i giovani nato nel 1987 grazie a una felice intuizione di Giovanni Paolo II. La prima edizione a Buenos Aires riscosse un successo inaspettato persino per gli organizzatori, con circa novecentomila partecipanti. Da allora giovani di tutto il mondo si sono incontrati ogni due o tre anni in un punto diverso del globo per vivere alcuni giorni di spiritualità e celebrare con il Papa la Messa conclusiva.
Il successo delle GMG è continuato anche dopo la morte di Giovanni Paolo II, ma la forza propulsiva degli inizi è andata via via scemando, nonostante i numeri restino ancora alti. Insomma, dopo oltre trent’anni di gradimento, pare che questa formula cominci a mostrare un po’ la corda. Ovviamente le voci critiche non erano mai mancate, fin dall’inizio: “è un evento mondano più che un pellegrinaggio”, “Dio lo si incontra nella fatica della quotidianità e non nell’entusiasmo di un evento eccezionale”, “si alimenta il culto della personalità del Papa” e via discorrendo. Tutte note non prive di qualche elemento di verità e tuttavia le GMG avevano successo perché rispondevano alla domanda di spiritualità dei giovani di fine Novecento.
Cosa può offrire adesso la Chiesa a quei giovani, oggi diventati adulti?
Sgombro il campo da un equivoco: non mi interessa assecondare le mode e capisco anche il ragionamento di chi pensa che non servano cose nuove ma si debba “educare” a vivere con consapevolezza le pratiche del passato: la Messa, l’Adorazione, la Lectio divina, gli esercizi spirituali, le viae crucis, eccetera eccetera, ma l’educazione è un percorso lungo che, oltre tutto, prevede l’adesione del discente oltre che la convinzione del docente, e nel frattempo tanti cattolici abbandonano la Chiesa per non farvi più ritorno.
Se mi guardo intorno, mi pare che una risposta la si possa trovare nei Cammini. Non è qualcosa di nuovo, anzi è qualcosa di antichissimo, addirittura medioevale. Però, nei corsi e ricorsi storici, forse hanno trovato oggi una loro nuova ragion d’essere.
Ricordo che fu proprio la GMG nel 1989 in terra spagnola a lanciare su larga scala il Cammino di Compostela che da allora è stato percorso da un numero sempre crescente di pellegrini. Poi se ne sono sviluppati altri, soltanto per citare i più noti: la Via Francigena da Canterbury a Roma, il Cammino portoghese da Lisbona a Santiago o la St. Olav Ways in Norvegia, percorsi da migliaia di uomini e donne alla ricerca di se stessi o di un diverso rapporto con Dio.
La riscoperta dei valori della “strada”, del camminare insieme, della condivisione, che da sempre è uno dei punti qualificanti dello scautismo, è diventata in questi anni patrimonio collettivo. I Cammini sono l’espressione di una spiritualità dell’essenziale, della fatica, della fraternità, della Provvidenza, che ha contagiato anche il mondo laico. Intorno sono fiorite riviste, pubblicazioni, siti, romanzi e agenzie di viaggio.
Non sarebbe male se, come momento simbolico a conclusione della prima parte del cammino sinodale, la Diocesi organizzasse proprio un pellegrinaggio lungo uno dei tanti Cammini. Senza scomodare i grandi tragitti europei, esistono tratti strutturati anche dalle nostre parti, in Emilia Romagna: la Via degli Abati, la Via Francigena, la Via Matildica del Volto Santo, la Via Mater Dei, il Cammino di Sant’Antonio, il Cammino di Assisi, il Cammino di San Vicinio, la Viae Misericordiae, il Cammino di San Francesco da Rimini a Laverna e altri.
Si tratta solo di scegliere, organizzare e proporre. E il successo credo che verrebbe da sè.
Saverio Catellani