La Sindrome di Corinto oggi, secondo Don Erio
Il nostro Vescovo, richiamando un importante testo paolino, in un recente messaggio alla diocesi,ha scritto: “Sono convinto che il problema più grave, nella Chiesa italiana di oggi, sia la sindrome di Corinto…..Purtroppo sull’appartenenza ecclesiale prevale spesso un’appartenenza ideologica partitica, per cui Cristo viene ancora diviso nel suo corpo, che è la Chiesa, tra chi sostiene i valori individuali al punto da negare quelli sociali e chi fa l’inverso.” Vale a dire: il rispetto per la dignità dell’uomo deve valere in tutte le situazioni. Riprendendo una metafora a lui cara, il grembo e il barcone, il bambino ancora non nato e il migrante, devono godere accoglienza e tutela allo stesso modo. E conclude.”Essere radicali oggi significa essere integrali.” I valori fondamentali della dottrina sociale della Chiesa (in questi giorni il cardinale Zuppi ha riutilizzato la qualifica non negoziabili, obliata negli ultimi anni) vanno affermati e praticati integralmente, non privilegiati e trascurati a piacere.
L’argomentazione del Vescovo, in questo caso, riguarda particolarmente la tentazione a dividersi dei cattolici secondo uno schema politico, che, contrapponendo una destra più sensibile ai temi etico-antropologici ad una sinistra paladina della giustizia sociale e della pace, finisce per provocare conseguenze negative anche a livello strettamente ecclesiale, e non solo fra i fedeli laici.
Una concreta ed attuale riprova di tale sindrome? In questi giorni una cinquantina di enti, associazioni, movimenti di ispirazione cristiana ( dalle ACLI ai Carmelitani, dai teologi alle Comunità di Base,dall’Azione Cattolica alle Confcooperative,ecc) si sono lodevolmente mobilitati con un documento programmatico ed una grande manifestazione, insieme a tante altre sigle, a Roma per chiedere la PACE. Sarebbe possibile trovare una simile condivisione e una così larga partecipazione, fra tante entità cattoliche, in difesa della VITA, dal concepimento alla sua fine, della FAMIGLIA e della LIBERTA’ di EDUCAZIONE? Difficile crederlo, quando le poche aggregazioni, che portano periodicamente in piazza con impegno convinto queste tematiche, spesso vengono, anche fra i credenti, viste con sufficienza, considerate fanatiche e ultraconservatrici.
Va ribadito ancora una volta che la principale via per contrastare ogni tensione divisiva in ambito cattolico risiede anzitutto nel magistero quotidiano e nei gesti concreti esemplari del Papa e dei Vescovi: solo se vengono proclamati e sostenuti con pari forza ed evidenza tutti i valori, si può educare all’integralità reclamata da don Erio. Su questa esigenza fondamentale si gioca il ruolo formativo della Gerarchia, al di à della individuale sensibilità di ciascun Pastore, e quello informativo di Avvenire e TV2000, gli strumenti comunicativi principali della Cei, nonché dei settimanali diocesani.
Ma oggi il rischio della sindrome di Corinto nella Chiesa riguarda un livello ben più profondo, che attiene alla stesso modo di essere e di agire della comunità ecclesiale nel suo impegno evangelico di annuncio e di servizio al prossimo. Non siamo ancora in Italia alle fratture che travagliano laici ed episcopati in altri Paesi, ma spuntano anche da noi segnali significativi di un certo disorientamento, che per ora, più che contestazioni, produce caute perplessità, resistenze tacite, lentezze e passività di fronte alle strategie via via proposte.
Non a caso Gianfranco Brunelli, direttore della rivista Il Regno, denuncia l’insufficienza di una linea pastorale fortemente connotata socialmente quando scrive:”La carità necessita di una rinnovata consapevolezza teologica, pena il suo esito funzionale ai modelli societari volta volta esistenti ed il lento deperimento dei soggetti che la praticano. C’è un problema più ampio di discernimento culturale e di formazione delle coscienze”.
Il problema di fondo, come ha rilevato sul Corriere della Sera Ernesto Galli della Loggia, è che la Chiesa finora non ha saputo (o potuto) dare risposta adeguata alle sfide poste dal mix esplosivo di un individualismo radicale di matrice illuministica e di uno sviluppo tecnico-scientifico, che rende gran parte dell’odierno contesto, specie giovanile, agnostico, quando non ateo. Può perciò rivelarsi pericolosamente illusorio puntare prioritariamente sulla distinzione esasperata fra annuncio e dottrina strutturata, come se fosse possibile proporre credibilmente Cristo, prescindendo dalla visione del mondo, dell’uomo e della relazione fra le persone, quale è delineata nella Sacra Scrittura, nel Credo e nell’insegnamento del Magistero della Chiesa. Il Figlio di Dio, non più compreso anzitutto nella sua morte e risurrezione, scadrebbe a filantropo e taumaturgo straordinario, e lo stesso racconto evangelico a ricostruzione mitica.
Possono pure provocare sconcerto e divisione fra i credenti certe suggestioni ecclesiologiche quanto meno astratte. C’è, ad esempio chi sostiene, basandosi sul dialogo fra Gesù e la Samaritana, isolato e assolutizzato arbitrariamente, che “Cristo non è venuto per fondare una religione organizzata, ma per fondarne una non organizzata” (citazione riportata anche nel recente libro del Vescovo). Sempre su questa linea qualcun altro ipotizza che il cristianesimo possa essere”la religione dell’uscita dalla religione”, cioè da ogni riferimento alla dimensione sacrale e a strutture materiali ed umane specificamente dedicate.
In quest’ottica come non prefigurarsi il dissolversi del cristianesimo tutto e del cattolicesimo in particolare? Con buona pace della sempre invocata fedeltà al Concilio, del ruolo guida del Papa e, nelle diocesi del mondo, degli oltre 5000 vescovi, successori degli apostoli, nella Chiesa reale, e necessariamente organizzata di questo nostro tempo.
Un fai da te che sarebbe assai più dirompente della sindrome di Corinto.
Pier Giuseppe Levoni