La pandemia di questi mesi ha provocato rilevanti contraccolpi anche nella realtà ecclesiale in diocesi e in tutto il Paese. Di fronte al perdurante divieto di svolgere celebrazioni liturgiche con la presenza dei fedeli e all’impossibilità di tenere incontri e riunioni, molte parrocchie del nostro territorio hanno messo in campo lodevoli iniziative in grado di assicurare una continuità di rapporti fra pastori e laici. Come il mezzo televisivo ha consentito di vivere una partecipazione ai riti in cattedrale e altrove, così i media sociali, da facebook all’applicazione zoom, hanno reso possibili momenti di riflessione e di preghiera comunitaria ed anche l’assistenza alla celebrazione liturgica a distanza per diverse parrocchie e aggregazioni laicali. Dunque una vitalità nuova e un’intraprendenza positiva, stimolata proprio dalla difficoltà delle attuali restrizioni, che lascia sperare in un sempre rinnovato impegno pastorale di sacerdoti e laici, con intuizioni originali e modalità impensabili fino a qualche anno fa.
Restando sempre in questo ambito, non sono mancati però i risvolti negativi, con polemiche e aspre critiche, con toni accesi e prese di posizioni contrapposte ad ogni livello e conseguente sconcerto fra i fedeli. Da un lato è stato espresso il desiderio di partecipare di persona, e non solo da remoto,alla celebrazione eucaristica sia pure con le dovute cautele di distanziamento; scalare il Cervino è ben diverso dal vederne l’ascensione su You Tube. Altri si sono detti convinti che il rapporto con Dio maturi nell’intimo della coscienza indipendentemente dalla presenza nel “tempio”, e che la comunione spirituale equivalga di fatto a quella sacramentale. Per alcuni la Cei aveva ragione ad “esigere” la tutela della libertà di culto ( reclamata pure da luterani e islamici italiani), mentre c’è chi lamenta che abbia agito come “istituzione di potere”, con stile ruiniano, per cui opportunamente il Papa ne ha corretto la linea. In TV si è detto in proposito con irridente compiacimento: “Francesco ha sbugiardato i vescovi”.
E si potrebbe esemplificare a lungo su controversie simili che hanno inondato i sopra lodati social, i quali, come ogni strumento di comunicazione, possono fungere sia da anticorpi che da virus, particolarmente in questo tempo persino surreale per chi non ha vissuto la precarietà devastante di una guerra.
Confrontarsi seriamente di più e chattare o postare di meno, cercare con mitezza di capire anziché puntigliosamente giudicare i presunti errori, sempre degli altri naturalmente; evitare nostalgie sterili ma anche spericolati balzi in avanti, seppur culturalmente armati, sembra il monito non banale anche per la nostra realtà ecclesiale in questa fase critica della sua crescita spirituale e comunionale.
Pier Giuseppe Levoni