In un recente articolo don Carlo Truzzi ha sollevato un quesito esplicito sulla necessità di non ridurre la memoria del Campo a mero luogo di transito dei prigionieri verso i lager nazisti. Credo importante riflettere su tale tema ora, in una fase di imminenti interventi per ampliare e rendere più capaci di testimonianza le strutture colà presenti, con l’impiego di ingenti risorse statali e regionali.
In effetti il rischio di un “racconto dimezzato” è fortemente indotto da tre fattori oggettivi: in primo luogo la rilevanza storico-internazionale del tragico fenomeno della persecuzione messa in atto dal regime hitleriano; il collegamento obbligato, per i tanti visitatori passati e futuri, con il Museo Monumento al Deportato politico e razziale nei campi di sterminio nazisti, realizzato nel Palazzo dei Pio ed inaugurato dal Presidente della Repubblica Giovanni Leone il 14 ottobre 1973; infine la gestione unitaria di questi due “luoghi” da parte della Fondazione ex-Campo Fossoli, con sede significativa nell’ex-Sinagoga di Carpi.
Peraltro questo benemerito Ente ha per obiettivo il recupero e la valorizzazione dell’ex-Campo di Concentramento “nelle sue diverse fasi”, e negli ultimi tempi ha assunto un indirizzo che apre prospettive interessanti, tali da evitare, o almeno ridurre, il “rischio” sopra citato di una lettura monca della complessa vicenda che si è svolta in quel luogo. Nel sito della Fondazione leggiamo infatti che si intende “dedicare attenzione anche ad altre fasi non secondarie nella storia italiana: Il Centro raccolta profughi stranieri (1945-’47); l’esperienza di don Zeno Saltini che lì fondò Nomadelfia (1948-’53), il Villaggio San Marco che raccolse gli esuli della Zona B del Territorio Libero di Trieste (1954-’70).”
E’ dunque auspicabile che la ricerca, la promozione di iniziative e l’esposizione di materiale iconografico si concretizzino realmente secondo uno sguardo largo e complessivo. In tal modo all’occhio e alla mente dei visitatori (circa trentamila ogni anno, prima della pandemia) il Campo potrà provocare un’ esperienza concreta non solo di disumanità da esecrare,affinché non si ripeta, ma anche di solidarietà e volontà di ricostruzione spirituale e materiale da apprezzare ed imitare. Insomma l’occasione preziosa di conoscere un dolore che non si rinchiude nella sua tragicità,ma si apre alla speranza.
Questa prospettiva appare tanto più opportuna se si considera che la gran parte dei visitatori è costituita da studenti durante viaggi di istruzione. Ebbene, chi ha esperienza di queste attività scolastiche sa perfettamente come ragazzi e giovani reagiscano di fronte a monumenti e luoghi legati ad argomenti di studio in aula: un tempo, ad esempio, la torre-museo che ricorda la battaglia risorgimentale di San Martino e Solferino (1859) e il sacrario di Redipuglia ove riposano i caduti della Prima Guerra Mondiale. Recentemente gli alunni vengono più frequentemente condotti alle Fosse Ardeatine, a Marzabotto o a Fossoli. Per gli studenti meno svagati (e psicologicamente “in vacanza”) le visite di istruzione, ben preparate e a posteriori valorizzate dai docenti, possono essere sempre positive e feconde. Ma adolescenti e giovani, pesantemente condizionati dal “presente”, dalla suggestione di una perenne connessione all’oggi, difficilmente entrano in sintonia non momentanea con vicende per loro inevitabilmente “lontane”, a meno di collegamenti empatici particolari, specie di origine familiare.
E tuttavia la visita al Campo di Fossoli, se ricca della memoria non solo di tragica sofferenza e persecuzione crudele, ma pure di generosità, di altruismo, di volontà di risorgere dalle macerie di una guerra, può coinvolgere in misura meno superficiale e soprattutto più positivamente l’animo del visitatore. Un’opportunità da non perdere.
Pier Giuseppe Levoni