Costruttori, non chierichetti
Negli ultimi trent’anni, cioè dalla fine della D.C., si sono ripetute le sollecitazioni di papi e vescovi ai laici, affinché accettassero di “sporcarsi le mani”, entrando in politica. Buon ultimo il cardinal Bassetti il quale, nell’omelia durante la recente celebrazione in onore del nostro Patrono, ha ricordato il dovere dei cristiani di essere nel mondo “costruttori di un nuovo umanesimo” . Gli ha fatto eco un severo editoriale su Notizie, ove si constata con amarezza che i laici, generosi nel servizio ecclesiale, “preferiscono le sagrestie” salvo poi, nelle vigilie elettorali, magari “buttarsi come singoli” nell’agone politico-amministrativo, “senza un adeguato discernimento comunitario, con il rischio di trasformarsi in docili chierichetti dei poteri di turno”. Risultato? “Irrilevanza dei cattolici nel contesto sociopolitico attuale”, loro “subalternità alla cultura dominante”, su tematiche fondamentali (pace, lavoro, casa, famiglia, vita), con la conseguente discesa “a compromessi al ribasso”.
Tutto vero. Sarà bene allora riflettere sulle cause di questo flop. Prescindiamo dai fattori “esterni”: secolarizzazione, calo della pratica religiosa, crisi dell’associazionismo cattolico, impraticabilità attuale di costituire un partito di chiara ispirazione cristiana, ancorché sturzianamente non confessionale. Consideriamo le ragioni, “interne” alla realtà ecclesiale, di questa mancata risposta del laicato agli insistiti appelli a “sporcarsi le mani”, impegnandosi nel secolo.
Intanto sarebbe utile uscire dalle formule vaghe e delineare con chiarezza gli obiettivi. Che significa in concreto la costruzione di un “nuovo umanesimo” qui e ora? Difficile rispondere. Vi è infatti al fondo della crisi un deficit formativo all’impegno politico, derivante, non solo da difficoltà pratico-organizzative, quanto da un’incertezza teorico-culturale. Domando: quanti, nella Chiesa, ritengono ancora attuale la seguente indicazione del Decreto Conciliare sull’apostolato dei laici: “L’ordine temporale deve essere rinnovato in modo che, nel rispetto integrale delle leggi sue proprie, sia reso più conforme ai principi superiori della vita cristiana ( corsivo mio) e adattato alle svariate condizioni di luogo, di tempo e di popoli”? In un tempo in cui si ironizza sulle “ granitiche certezze” del passato, il cattolico che si avventura in politica ha un suo “contenuto” specifico di valori da proporre e sostenere con determinazione? Si rassegna invece, come parlamentare o assessore, alla disciplina del partito in cui milita oppure limita la sua azione sul piano strettamente tecnico, un ambito in cui le sue più importanti personali convinzioni etico-religiose restano inespresse?
Se poi, al di là di qualche sporadica iniziativa dedicata alle tematiche sociopolitiche, l’attenzione formativa si concentra prevalentemente sull’approccio alla Parola di Dio, gli esiti sul piano delle opzioni politiche possono essere molto diverse, anche fra i pastori, con prese di posizioni talora sconcertanti. Si veda quanto accade oggi, in merito alla tragedia ucraina, per certo pacifismo cattolico radicale, che finisce per sottovalutare la distinzione sostanziale fra invasore e vittima, parlando di “guerra” e non, più obiettivamente, di “aggressione”, di “invasione”, cioè una palese violazione del diritto internazionale. Un precedente di estrema pericolosità, nel contesto delle relazioni fra regimi autocratici e democrazie liberali, sempre fragili, essendo esposte al mutevoli opinioni degli elettori.
Né può bastare la conoscenza, magari epidermica, dei più recenti documenti del Magistero, il cui valore profetico è indubbio, ma che devono essere realisticamente rapportati alle situazioni concrete, con approfondimenti culturalmente impegnativi
Si aggiunga che, anche nel nostro ambito diocesano, quasi nulla si è fatto per sostenere adeguatamente quei pochi laici che hanno scelto l’impegno nelle Amministrazioni locali, attraverso la promozione di apposite occasioni di confronto, di ascolto reciproco, di coordinamento e di analisi delle tematiche proposte dell’insegnamento sociale della Chiesa.
Come si vede, una risposta positiva agli appelli della gerarchia può venire solo da un lavoro formativo sistematico e capillare, robusto e continuo, fondato su solide, chiare e condivise impostazioni culturali. E’ possibile tutto ciò in questo tempo e nelle attuali condizioni della Chiesa in Italia? E’ considerata davvero un’esigenza prioritaria dal tessuto ecclesiale di base, parrocchie e associazioni, laici e pastori?
Qualche dubbio è lecito.
Pier Giuseppe Levoni