Alle origini del celibato ecclesiastico

Celibato Ecclesiastico

All’inizio della chiesa sull’argomento abbiamo due piste. C’è san Paolo che, nell’autosostentamento economico e nel celibato, riconosce un proprio cammino liberamente scelto in relazione alla sua missione di predicatore del vangelo e di responsabile delle comunità. C’è san Pietro, che svolge la sua missione apostolica insieme con la moglie facendosi, presumibilmente sostenere economicamente dalla comunità. Avere moglie non riceveva nessuna obiezione. L’unica restrizione è rappresentata dal divieto di accesso al ministero di chi, da vedovo, si sposa una seconda volta: 1Tim 3,2;3,12;Tit 1,6. Dopo due secoli troviamo il divieto di matrimonio per chi, da celibe, è diventato sacerdote o diacono: Concilio di Ancira (314) e di Neocesarea (ca. 314-325). Si può pensare che, comunemente, a tali ministeri si accedeva da sposati. Per i coniugati per la prima volta compare un obbligo di continenza nel matrimonio da parte del Concilio di Elvira. Questa assemblea, sulla quale non siamo bene informati, si è svolta agli inizi del IV secolo in una città i cui resti sono in un sobborgo della attuale città  spagnola di Grenada. Il Concilio ecumenico  di Nicea (325) però non ha condiviso. La richiesta di Elvira, in modo più ampio e articolato, riappare nella Decretale indirizzata da papa Siricio al vescovo spagnolo di Terragona Imerio il 10 febbraio 385. 

Scrive il papa:“Abbiamo infatti appreso, che molti sacerdoti di Cristo e leviti lungo tempo dopo la loro consacrazione hanno generato prole sia dal proprio matrimonio che anche da turpe coito e che si difendono da incriminazioni con la scusa che nell’Antico Testamento si legge che ai sacerdoti e ministri è concessa la facoltà di generare.

…Per quale motivo si comandava ai sacerdoti nell’anno del loro ministero di abitare nel tempio, lontano persino da casa? Senz’altro perché non potessero esercitare rapporti carnali neppure con le mogli, per offrire a Dio un dono gradito nello splendore dell’integrità della coscienza. Per questo anche il Signore Gesù, avendoci illuminati con la sua venuta, testimonia nel Vangelo di essere venuto  a completare la Legge, non ad abolirla, e perciò volle che la figura della chiesa, di cui è sposo,emani lo splendore della castità, affinché nel giorno del giudizio, quando di nuovo verrà, la possa…trovarsi senza macchia e ruga [Ef 5,27]. Dalla legge indissolubile di queste disposizioni siamo legati noi tutti sacerdoti e leviti, affinché dal giorno della nostra ordinazione consegniamo sia i nostri cuori che i nostri corpi alla sobrietà e alla pudicizia, per piacere al Signore nostro Dio nei sacrifici che ogni giorno offriamo”

Il successore, papa Innocenzo, ribadisce le direttive di Siricio. Ormai la linea si diffonde ampiamente. Si può condividere la casa con la moglie, ma non il letto coniugale. 

Questo regime tuttavia è in sé problematico e alla fine non regge. Lo conferma anche parabola storica della cosiddetta “penitenza pubblica”. Il penitente infatti doveva astenersi dal coniuge, anche dopo la riammissione alla comunione eucaristica. Il sistema pertanto nel corso del VI secolo collassò del tutto. 

Alla fine del VII secolo si ha una svolta duratura. Per l’Oriente il Concilio del Trullo (691) prescrive il celibato per tutta la vita per i vescovi, mentre ai preti e ai diaconi è richiesta la continenza solo in prossimità dell’esercizio del culto. In Occidente il celibato a vita riguarderà sempre tutti ministri superiori: vescovi, preti, diaconi e suddiaconi. 

Nel contesto della “lotta per le investiture”, i Concili Lateranense I e soprattutto II (1139) ribadiscono la legge del celibato e rendono l’ordine, dal suddiaconato in su, impedimento al matrimonio di tipo “dirimente”, cioè invalidante. Si tagliano così i diritti ereditari dei figli del clero. Questa disciplina continua fino ad oggi sia in Occidente che in Oriente.

Le ragioni di questi ordinamenti sono molteplici. C’è una prima ragione di ordine culturale comune al Primo Testamento e ai culti pagani. Il coito rendeva la persona “impura”, inadeguata ad accostarsi alla divinità nell’esercizio degli atti liturgici. Così le “Vergini Vestali”, cessato il servizio al fuoco di Vesta al 42° anno, potevano sposarsi, ma una trasgressione precedente le condannava a essere sepolte vive. 

Un altro elemento condiviso con la cultura ambiente è la valutazione positiva dell’armonia personale di tutte le componenti umane, secondo un ordine gerarchico, compreso il dominio razionale degli impulsi sessuali. Gli stoici pregiano in questo punto di vista l’<autarchia> (dominio di sè, autosufficienza), mentre per gli epicurei è accettabile soddisfare la libido nel limite di “costi” accettabili.

Questi motivi tuttavia non vanno sopravvalutati. Il cristianesimo in proprio ha valori forti valori specifici. Per un cristiano la vita vera è quella del mondo futuro, in cui “non ci si sposa e si è come angeli”. Rinforza questa prospettiva l’attesa della vicina fine del mondo, che è persistita in tutta l’epoca patristica con varia intensità. Su questo sfondo la sessualità è vista con gradazioni diverse. L’encratismo (=astinenza totale) nei primi tempi condanna in varie forme la sessualità, ma viene presto marginalizzato come “eresia”. Nella grande chiesa ci sono Padri che guardano con occhio positivo la sessualità fisica (Clemente Alessandrino, Metodio d’Olimpo, Teodoro di Mopsuestia, Teodoreto di Ciro, in parte Crisostomo); altri propendono per il distacco o il sospetto (Origene, Agostino, Girolamo, asceti del deserto). 

Il sospetto sull’eros in Occidente dal IV secolo si accentua e avrà lunga vita dopo Agostino. Egli giustifica il matrimonio in vista della prole come legge naturale e perciò buona dell’uomo “creato a immagine di Dio” prima del peccato originale. Anche nel matrimonio prima del peccato originale va osservato l’ordine delle cose, che consiste nel realizzare la giusta gerarchia: il cosmo soggetto all’uomo, il corpo e le passioni dell’uomo soggetti alla sua mente e l’uomo soggetto a Dio. Questo ordine è il porto della pace escatologica. Il vescovo africano attribuisce l’irruenza dell’eros (concupiscentia), che ora turba l’ordine nella vita umana, non alla natura, ma allo stato post-lapsario, alla eredità del peccato. 

Più che le speculazioni filosofiche e teologiche contava agli occhi dei semplici cristiani il messaggio proveniente dal monachesimo. Era cresciuto esponenzialmente dalla metà del IV secolo e contrastava con la pochezza diffusa dei laici cristiani e di molti chierici. I monaci invece godevano di un indiscutibile prestigio spirituale: avevano fatto una scelta radicale di abbandono di “questo mondo”, rimpiazzando in qualche modo, da “atleti di Cristo”, i combattimenti dei martiri. Nelle battaglie contro Satana il fronte della sessualità era sempre caldo, al punto che le vergini martiri (Agnese, Lucia, Agata, ecc.) si erano mostrate ugualmente forti nella verginità che nei tormenti. Ma tutti i monaci, che erano per lo più laici, si esercitavano (da askeomoi: mi esercito) in una palestra di lotte e rinunce nella quale mostravano la loro vita “isangelica” (“saranno come angeli in cielo”).

L’ideale monastico ha attratto i grandi vescovi del IV-V secolo. È comprensibile che nell’opinione della chiesa la continenza sessuale sia stata associata alla figura del cristiano autentico e pertanto anche dei ministri. Questi ultimi, con l’accrescimento del proprio potere sociale ed economico, oltretutto rischiavano di finire in un funzionariato di modesto spessore spirituale.

In conclusione furono molteplici le motivazioni del celibato ecclesiastico e della sua estensione, come anche della sua osservanza pratica.

Oggi, in Occidente, assistiamo a uno “sdoganamento dell’eros” e nella chiesa a una persistente richiesta di cambio della “disciplina”. Mi sembra che la risposta a questa difficoltà vada cercata nel ripensamento delle motivazioni, spacchettando meglio quelle relative al sacerdozio e quelle relative al celibato. Questo avviene già per i diaconi permanenti e nelle chiese orientali per sacerdoti e vescovi. È molto importante in proposito la formazione iniziale e permanente. Vorrei soltanto aggiungere un punto particolare tra i tanti. Faccio fatica a comprendere un celibato del vescovo e del prete “in solitudine”; penso che questo carisma possa fiorire meglio in una qualche forma di vita comunitaria.

Carlo Truzzi

 Studi consultati:

S. PRICOCO (curatore), L’eros difficile. Amore e sessualità nell’antico cristianesimo, Rubbettino, 1998; C. NARDI, L’eros nei Padri della chiesa. Storia di idee, rilievi antropologici, Aleph, 2000; E. CATTANEO (cur), I ministeri nella chiesa antica. Testi patristici dei primi tre secoli, Paoline, 1997; P. BROWN, Il corpo e la società. Uomini , donne e astinenza sessuale nei primi secoli cristiani, Einaudi, 1992; P.-G. DELAGE (cur), Les Pères de l’Eglise et les ministères. Evolution, idéal et réalité, Histoire et culture, 2008; R. CANTALAMESSA (cur), Etica  sessuale e matrimonio nel cristianesimo delle origini, Vita e Pensiero, 19976; Nuovo Dizionario Patristico e di antichità cristiane, Marietti 1820, 2006, voci Celibato del clero (Crouzel-Odrobina), Continentes (Tibiletti-Odrobina);